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sabato 23 febbraio 2008

RU486: FATTI E DOMANDE

Ru486: fatti e domande sulla pillola della discordia

di Stefano Caredda/ 25/09/2005

L’ordinanza con la quale il Ministero della Salute ha sospeso la sperimentazione della pillola abortiva Ru486 all’Ospedale Sant’Anna di Torino ha sollevato, come avviene di solito, un vespaio di polemiche. Cerchiamo di capirne qualcosa di più.

Ru486, la pillola per l'aborto chimico: cosa è, come funziona



Sperimentazione all’italiana – La storia della “prova” della pillola Ru486 nel nostro paese parte intorno all’anno 2000. Silvio Viale, ginecologo del Sant’Anna, attivista del Partito radicale, annuncia la volontà di importare in Italia la Ru486, nel frattempo approvata e utilizzata in alcuni altri paesi europei (la Francia, anzitutto, sua terra natale). Presenta domanda il 29 gennaio 2001 alla direzione dell’ospedale, che l’8 febbraio 2002 invia la documentazione alla Commissione regionale per le sperimentazioni cliniche, che dà l’OK il 28 ottobre 2002. La pratica passa al Ministero che invia gli ispettori a Torino per concordare le caratteristiche della sperimentazione, i farmaci e la permanenza delle donne in ospedale. Il via libera del ministero arriva il 9 luglio 2004. La direzione del Sant’Anna attende ancora un anno prima di deliberare il via effettivo alla sperimentazione. Accade l’8 settembre 2005, quando alle prime pazienti è somministrata la Ru486. Al ministero ora non c’è più Sirchia, ma Storace, che avvia un’altra ispezione, ora conclusa con la sospensione della sperimentazione. Sospensione parziale, in verità, perché esclude tutti i “trattamenti in atto in regime di ricovero ospedaliero”.

Lo stop - La tesi del ministero è semplice. Le procedure prevedono che la donna sia sempre tenuta sotto stretta osservazione. Non è previsto che possa ritornare a casa – fuori dal diretto controllo del medico – quando ancora l’aborto non è avvenuto. Non può succedere che si verifichi una espulsione (ancorché parziale) dell’embrione in un ambiente che non sia l’ospedale. L’aborto a domicilio, insomma, non si può fare. E questo per due motivi: perché è pericoloso per la stessa donna e perché sempre di un aborto si tratta, e la nostra legislazione in materia prevede che esso debba avvenire in ospedale.

Prima motivazione: tutela della salute della donna. L’aborto non è una passeggiata, e non solo dal punto di vista psicologico. Abortire – e abortire chimicamente – costituisce un pericolo per la donna stessa. Lo sconvolgimento ormonale ha portato anche, negli altri paesi, ad alcuni casi – certo estremi e limitati, ma non meno gravi per questo – di morte della paziente. Dunque: il controllo medico è necessario. Una motivazione, questa, che prescinde da qualsiasi considerazione di tipo etico, dice il ministro. E d'altronde, la considerazione etica sull’aborto in sé non può certo cambiare in virtù del metodo attraverso il quale è eseguito.

Seconda motivazione: l’aborto deve avvenire in ospedale. Nel nostro paese l’interruzione della gravidanza è regolata dalla famosa legge 194/78. Ebbene, proprio la legge 194, al primo comma dell’articolo 8, recita: “L'interruzione della gravidanza e’ praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale…”. Un testo certamente “anziano” (è vecchio di quasi trent’anni), e dunque scritto senza contemplare l’ipotesi Ru486, ma pur sempre testo in vigore. Pur sempre testo di legge. In altre parole: l’utilizzo della pillola abortiva non può contrastare con la legge e dunque, anche quando viene sperimentata, essa potrà essere utilizzata solo nei presidi ospedalieri e solo dopo che siano state espletate tutte le procedure previste dalla legge 194 (colloquio, tentativo di rimozione delle cause con intervento dei consultori ed eventualmente di strutture private, attesa di sette giorni, e così via). E l’aborto deve avvenire in ospedale sotto controllo medico.

Ecco dunque i due motivi per cui la sperimentazione è stata interrotta. Per cui - anzi - verrà interrotta da domenica 25 settembre, con la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale. Sperimtazione che riprenderà, verosimilmente. Ed è anche plausibile che presto o tardi la Ru486 entri a pieno titolo nei nostri ospedali come metodo di effettuazione degli aborti. Col tempo si vedrà. Certamente, ancora una volta, occorre registrare prese di posizione al limite dell’incredibile e parole incomprensibili al di fuori di una visione ideologica ormai obsoleta.

Reazioni scomposte - Contro la decisione del ministro, ecco la sagra dello sciocco integralismo laicista di chi neppure si accorge che se una legge c’è, andrebbe rispettata. “Sono stupefatta per il modo usato dal ministro, che ha ragioni solo politiche. Noi non siamo suoi sottoposti; sulla tutela della salute delle donne sono molto più attenta io di quanto possa esserlo un uomo”, è il fine ragionamento della presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso. E le colleghe e i colleghi di sponda politica non sono da meno, anzi. Sembra di essere tornati in piena campagna referendaria, se non peggio. “Offesa allo stato laico”, “decisione ideologica”, decisione contro le donne”, è una caccia alla streghe”, “non vogliono far abortire le donne senza una adeguata dose di sofferenza”, “integralismo religioso”, “amore per il dolore”. E ci fermiamo qui. Quegli stessi personaggi che al grido “La 194 non si tocca” si sono sempre dichiarati contrari ad ogni modifica del testo, anche solo in previsione di una migliore e efficace azione preventiva, oggi fanno finta che non esista, che non vi sia alcuna norma da rispettare, anche in un aborto chimico. Oppure (e sono i più onesti, quelli che almeno riconoscono l’esistenza di un testo di legge vigente) si lanciano nella richiesta solenne: “Modifichiamo la legge”. Obiettivo: Ru486 libera. La legge intoccabile che… diventa toccabile, purché per le modifiche da loro volute.

Oltre la pillola: l'aborto è ancora un dramma da combattere? - Il linguaggio asettico delle direttive ministeriali e delle dichiarazioni del team di sperimentazione lascia sullo sfondo tutte le domande meno scontate. Ad iniziare da quella incentrata sulla richiesta: “Ma l’aborto è, ancora e per tutti, un male che se possibile è meglio evitare?”. La “preferenza per la nascita”, la più volte sentita storiella dell’aborto come “dramma sempre e comunque” convince ancora, oppure no? Oppure ormai la dissennata applicazione della legge 194 ha fatto filtrare l’idea dell’aborto come diritto assoluto, non solo da garantire ma anche da promuovere? Nel mondo pro-life si sa benissimo che “da un punto di vista umano ed etico non c’è molta differenza tra la Ru486 e qualunque altro metodo abortivo: l'uccisione di un essere umano è sempre lo stesso terribile evento”. E proprio per questo preoccupa non poco l’atteggiamento quasi allegro e spensierato con cui ci si comporta in questi giorni dalle parti di Torino e non solo. Silvio Viale, ginecologo del Sant’Anna, padre della sperimentazione della Ru486, quasi gongola quando comunica che “non è arrivata alcuna comunicazione ufficiale dal ministero” e dunque “non ci fermiamo: oggi abbiamo eseguito quattro aborti, ieri cinque e in tutto siamo arrivati a ventisei”. Una corsa contro il tempo, una corsa pure contro le disposizioni del ministero, e il tutto… per praticare aborti. Un aborto si pratica solo dopo aver compiuto determinati passi. Ad esempio: che genere di colloquio è stato fatto con quelle donne? Sono state seguite le regole previste dalla legge 194 (sottolineiamo: imposte dalla legge 194) e che vogliono che si tenti di “rimuovere le cause che portano all’interruzione di gravidanza”? E’ vero o non è vero che porre di fronte alla donna una alternativa concreta e reale all’aborto consente a lei stessa una decisione più libera e consapevole? E’ vero o non è vero che una scelta davvero libera è quella fra due reali alternative? La sensazione diffusa nel mondo pro-life è che la libertà di abortire, fra breve anche chimicamente, sia garantita. Ma che la libertà di non abortire, invece, sia fortemente limitata dalla mancanza di aiuti e sostegni: quelli che lo Stato dovrebbe fornire e che lo Stato non fornisce.

Davvero la pillola Ru486 riduce la sofferenza? Davvero un aborto prolungato nel tempo, un aborto lento, che ora dopo ora si realizza, ha un minore impatto sulla psicologia della donna? Certo, per molte donne, quelle più determinate ad abortire, potrebbe essere così, ma perché neppure una voce critica che si preoccupi invece di quelle per le quali ciò provocherebbe una maggiore sofferenza? La privatizzazione dell’aborto, l’immagine di un aborto semplice e indolore, attuato con una semplice pillola, quasi come prendere un’aspirina, è davvero un progresso? Non è una immagine troppo edulcorata, che fa apparire l’interruzione della gravidanza come un semplice metodo per il controllo delle nascite? (Fine, questo, espressamente vietato dalla 194?). Quanti saranno tentati ad evitare un figlio con l’ausilio della pillola abortiva, quella dell’aborto “facile e indolore”? Domande che in pochi – fra i sostenitori “senza se e senza ma” della Ru486 – sembrano essersi fatti.

La Ru486 privatizza l’aborto, lo rende ancor più esperienza intima e personale. Davvero questo rappresenta un bene? Davvero non ci vogliono contropartite? L’aborto così inteso non rischia di rendere ancora più sola e sofferente la persona che lo compie? Domande che sorgono non per la voglia di trovare sempre qualcosa che non va, ma sulla scia della realtà vissuta, quella che ancora oggi, ogni giorno, testimonia che l’aborto è per un gran numero di donne che lo scelgono una tragedia assoluta. Assistiamo, invece che ad un atteggiamento misurato e posato, ad una sorta di show dei campioni dell’aborto facile e indolore: sperimentatori, ginecologi, politici. Tutti in prima fila.

"Quante energie si sono spese per mettere al mondo questa pillola! Quale ingente impiego di risorse economiche ed intellettuali è stato usato per perfezionare questo “strepitoso” e sofisticato metodo abortivo!", dicono quanti tengono al senso della misura. "E che vuoto, invece, che vuoto di impegno e di idee per portare aiuto e sostegno alle donne in gravidanza, che deserto quando si tratta di lavorare non solo per la morte, ma anche per la vita", ammettono sconsolati guardando la realtà. All’ospedale Sant’Anna di Torino – prendiamolo come esempio, visto che siamo concentrati su di esso – ci sono 8.500 nascite ogni anno. Ogni anno gli aborti chirurgici oscillano intorno ai 4.000. Si, ancora uno sforzo, e ogni due nascite dovremmo contare un aborto. Numeri elevati, troppo elevati. Gli aborti nel nostro paese sono 140mila l’anno. Ogni santo giorno quasi 400 aborti. 400 oggi, 400 domani, 400 dopodomani… "Davvero non c'è nulla da cambiare?".



http://www.korazym.org/news1.asp?Id=14770

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