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lunedì 4 agosto 2008

LA PILLOLA DEL GIORNO DOPO-ALLE DONNE VA DETTA LA VERITA'

La pillola abortiva del giorno dopo 1290 18/10/2005

ALLE DONNE VA DETTA LA VERITÀ

SULLA PILLOLA DEL GIORNO DOPO

Marina Corradi - Avvenire 23/09/05

L'alt alla sperimentazione della pillola abortiva Ru 486 imposto dal ministro alla Sanità sarebbe una reazione cattolica «alla pretesa delle donne di abortire senza una adeguata dose di sofferenza», secondo Miriam Mafai. «Un accanimento contro le donne», per la responsabile femminile dei Ds, Barbara Pollastrini. Dunque, "le" donne italiane pretendono il diritto all'aborto chimico e il Potere si accanisce contro "le" donne. Parrebbe, a leggere i quotidiani, che queste signore, insieme ad altre come Margherita Boniver («L'ennesimo tentativo di colpevolizzare le donne»), insomma a un drappello di femministe di lungo corso con scarso ricambio generazionale, rappresentino l'intera popolazione femminile italiana: che insorge contro l'obbligo dell'aborto chirurgico, là dove è ormai possibile prendere una pillola e risolvere il problema in maniera più "soft".
Al di là delle ragioni cliniche che hanno indetto il ministero a bloccare la sperimentazione, emerge fra le righe l'apprezzamento per questo aborto che farebbe soffrire di meno, e perciò sarebbe oggetto del veto catto-reazionario. Ciò che una ragazza che ascolti impara è che esiste un modo di interrompere la gravidanza "semplice", mandando giù una pillola, e che invece la si vuol costringere alla sala operatoria, in una mistica del dolore.
Quanto invece le Mafai e le Pollastrini non dicono è che quella pillola ci mette ben tre giorni, a liberarti del figlio che aspetti. La prima dose blocca i recettori del progesterone, l'ormone che sviluppa il tessuto uterino. Quando, 48 ore dopo, l'embrione è morto, la seconda parte del trattamento ne provoca l'espulsione. In tutto, tre giorni per un'agonia dentro se stesse. Tre giorni che possono essere interminabili, per tutte le donne che a quell'aborto sono arrivate magari per solitudine, o paura, o povert à, ma sanno che comunque ciò che stanno perdendo era un figlio - per quelle che chiamano le cose con il loro nome. Davvero è meglio questa lunga dolorosa attesa piuttosto del taglio netto di un intervento? Davvero conta così poco ciò che passa nei pensieri di una donna in quel silenzioso aspettare che la vita che stava crescendoti dentro, eliminata chimicamente, abbandoni il tuo corpo? Perché dire questa bugia a una generazione di ragazze, che, non sapendo, penseranno all'aborto in pillola come a qualcosa di più sopportabile, e saranno magari tentate - non sapendo - di usarlo come un estremo anticoncezionale d'emergenza?
L'altra mistificazione, sta in quella pretesa del drappello tardofemminista di parlare a nome "delle" donne. La pretesa delle donne di abortire senza sofferenza, «accanimento contro le donne», dicono, con la sottesa affermazione di essere portavoce dell'universo femminile tutto. Come se tutte le donne, in quanto tali, fossero schierate dietro di loro. Il che ricorda l'appello di Emma Bonino a pochi giorni dal referendum: "le" donne portino mariti, fratelli, figli a votare. A votare come la Bonino, sottinteso: immaginando ancora questa monade femminile, obbedientemente allineata nei dogmi del vecchio femminismo.
E, il giorno dopo, qualcuna a lamentarsi: «Le donne non hanno capito, le donne ci hanno tradito». In realtà, quelle donne avevano capito benissimo, e semplicemente non si riconoscevano né in quella battaglia, né nelle loro pretese rappresentanti. Dietro le alfiere del femminismo, erano rimaste in poche. Perché oggi ci sono tante donne diverse: cattoliche, o laiche ma con precise convinzioni sulla maternità. Ci sono e sono tante quelle che hanno abortito, e vorrebbero non averlo fatto. Ci sono quelle che non sanno ancora, e a cui non è giusto raccontare storie di aborto "semp lice". Di modo che, quando si sente una del solito drappello intonare il lamento: «È contro le donne», sarebbe opportuno dirle di parlare per sé e per quelle che davvero rappresenta. Ma non, per favore, in nostro nome.


L'alt alla sperimentazione della pillola abortiva Ru 486 imposto dal ministro alla Sanità sarebbe una reazione cattolica «alla pretesa delle donne di abortire senza una adeguata dose di sofferenza», secondo Miriam Mafai. «Un accanimento contro le donne», per la responsabile femminile dei Ds, Barbara Pollastrini. Dunque, "le" donne italiane pretendono il diritto all'aborto chimico e il Potere si accanisce contro "le" donne. Parrebbe, a leggere i quotidiani, che queste signore, insieme ad altre come Margherita Boniver («L'ennesimo tentativo di colpevolizzare le donne»), insomma a un drappello di femministe di lungo corso con scarso ricambio generazionale, rappresentino l'intera popolazione femminile italiana: che insorge contro l'obbligo dell'aborto chirurgico, là dove è ormai possibile prendere una pillola e risolvere il problema in maniera più "soft".
Al di là delle ragioni cliniche che hanno indetto il ministero a bloccare la sperimentazione, emerge fra le righe l'apprezzamento per questo aborto che farebbe soffrire di meno, e perciò sarebbe oggetto del veto catto-reazionario. Ciò che una ragazza che ascolti impara è che esiste un modo di interrompere la gravidanza "semplice", mandando giù una pillola, e che invece la si vuol costringere alla sala operatoria, in una mistica del dolore.
Quanto invece le Mafai e le Pollastrini non dicono è che quella pillola ci mette ben tre giorni, a liberarti del figlio che aspetti. La prima dose blocca i recettori del progesterone, l'ormone che sviluppa il tessuto uterino. Quando, 48 ore dopo, l'embrione è morto, la seconda parte del trattamento ne provoca l'espulsione. In tutto, tre giorni per un'agonia dentro se stesse. Tre giorni che possono essere interminabili, per tutte le donne che a quell'aborto sono arrivate magari per solitudine, o paura, o povert à, ma sanno che comunque ciò che stanno perdendo era un figlio - per quelle che chiamano le cose con il loro nome. Davvero è meglio questa lunga dolorosa attesa piuttosto del taglio netto di un intervento? Davvero conta così poco ciò che passa nei pensieri di una donna in quel silenzioso aspettare che la vita che stava crescendoti dentro, eliminata chimicamente, abbandoni il tuo corpo? Perché dire questa bugia a una generazione di ragazze, che, non sapendo, penseranno all'aborto in pillola come a qualcosa di più sopportabile, e saranno magari tentate - non sapendo - di usarlo come un estremo anticoncezionale d'emergenza?
L'altra mistificazione, sta in quella pretesa del drappello tardofemminista di parlare a nome "delle" donne. La pretesa delle donne di abortire senza sofferenza, «accanimento contro le donne», dicono, con la sottesa affermazione di essere portavoce dell'universo femminile tutto. Come se tutte le donne, in quanto tali, fossero schierate dietro di loro. Il che ricorda l'appello di Emma Bonino a pochi giorni dal referendum: "le" donne portino mariti, fratelli, figli a votare. A votare come la Bonino, sottinteso: immaginando ancora questa monade femminile, obbedientemente allineata nei dogmi del vecchio femminismo.
E, il giorno dopo, qualcuna a lamentarsi: «Le donne non hanno capito, le donne ci hanno tradito». In realtà, quelle donne avevano capito benissimo, e semplicemente non si riconoscevano né in quella battaglia, né nelle loro pretese rappresentanti. Dietro le alfiere del femminismo, erano rimaste in poche. Perché oggi ci sono tante donne diverse: cattoliche, o laiche ma con precise convinzioni sulla maternità. Ci sono e sono tante quelle che hanno abortito, e vorrebbero non averlo fatto. Ci sono quelle che non sanno ancora, e a cui non è giusto raccontare storie di aborto "semp lice". Di modo che, quando si sente una del solito drappello intonare il lamento: «È contro le donne», sarebbe opportuno dirle di parlare per sé e per quelle che davvero rappresenta. Ma non, per favore, in nostro nome.





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LA PILLOLA RU 486

non è in vendita in Italia - almeno per il momento

di Mario Palmaro

La pillola RU 486 introduce l'aborto “fai da te”. Sperimentata in un ospedale piemontese. Diabolico obiettivo: aggirare l'obiezione di coscienza di medici e infermieri antiabortisti e rendere la donna unica protagonista dell'uccisione del suo bambino.

Il grande scienziato francese Jérome Lejeune l'aveva definita senza troppi giri di parole: un "pesticida umano". Ora la RU 486, la pillola che provoca l'aborto se assunta entro il secondo mese di gravidanza, è sbarcata anche in Italia. Il via libera è arrivato dal Comitato etico della Regione Piemonte, che nell'ottobre 2002 ha approvato la sperimentazione di questo prodotto chimico presso l'ospedale Sant'Anna.

Dal gennaio 2003 i nascituri di Torino cominceranno a essere uccisi con questo nuovo sistema, che verrà testato su 400 donne incinte.

Che cos'è la RU 486

La RU 486 è un prodotto chimico a base di Mifepristone, un potente antiormone che interrompe l'annidamento dell'embrione nell'utero e provoca l'aborto del concepito. La RU 486 - che non può essere definita un farmaco, poiché non serve a curare una patologia - viene assunta dalla donna come una normale pastiglia. Trascorsi tre giorni, i medici somministrano alla madre una sostanza che induce le contrazioni e provoca l'espulsione dell'embrione nel 60% dei casi. Poiché la procedura è dolorosa e non esente da complicanze per la donna, per ora la somministrazione della pastiglia deve avvenire in ambiente ospedaliero, dove la donna stessa verrà tenuta in osservazione per alcune ore dopo l'aborto, e visitata di nuovo circa 15 giorni dopo.

Un po' di storia

La RU 486 è stata prodotta dai laboratori della Roussel Uclaf, una società controllata dal Governo francese e dal gruppo tedesco Hoechst. Non è un caso che nella genealogia delle aziende chimiche tedesche compaia anche la l.G. Farben, che produceva il famigerato Zyclon B., il gas omicida usato da Hitler. La RU 486 è usata da 10 anni in Francia, mentre è sbarcata negli Usa nel 2000. Un comunicato stampa del 23 giugno 1988 dimostra il coinvolgimento dell'ONU nella realizzazione del prodotto: è la stessa Roussel Uclaf a dichiarare di "averlo sviluppato in collaborazione con l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Unfpa", che sono agenzie ONU. È evidente che il prodotto sarebbe utilissimo per "diradare" le popolazioni dei paesi poveri, soprattutto dove non esistano presidi chirurgici adeguati per promuovere l'aborto su scala mondiale. In Italia, di RU 486 si iniziò a parlare nel 1989, quando l'allora sottosegretario alla sanità, la socialista Elena Marinucci, ne caldeggiò (senza successo) l'adozione nel nostro Paese.

Ora l'operazione è riuscita per iniziativa dei soliti radicali e di alcuni medici abortisti in quella Torino che è la città di don Bosco ma anche della massoneria e del satanismo. Nulla avviene per caso.

Aspetti giuridici

1. La prima considerazione da fare è che la RU 486 non è che uno fra i tanti modi con cui è possibile uccidere l'innocente. Viene presentata come uno strumento "umanitario" così come i giacobini offrirono alle vittime del Terrore la ghigliottina, considerata "umanitaria" rispetto alla fucilazione e alla forca. La conclusione era in entrambi i casi la morte dei condannati. Dunque, la radice di ogni male è rappresentato da una legge “integralmente iniqua” - come la 194/1978 nel caso dell'Italia - che ammette l'autodeterminazione della donna, affidando al suo totale arbitrio la vita del concepito. Posto questo antiprincipio aberrante, tutto diventa possibile.

2. Uno degli scopi meno evidenti ma più diabolici della RU 486 è l'aggiramento della obiezione di coscienza. Potrà accadere infatti che, un aborto chimico "iniziato" qualche giorno prima, presenti delle complicanze tali da richiedere l'intervento del personale ospedaliero. A questo punto, in casi di urgenza e rischio per la salute della donna, un medico o un infermiere obiettore di turno si vedranno costretti dalla legge a continuare l'opera nefanda dei colleghi abortisti.

3. Nel consenso informato che viene firmato dalla donna prima di iniziare il "trattamento", la gestante viene avvertita che in caso di "fallimento" - vale a dire se il nascituro sopravvive alla dose di veleno - il nascituro andrà incontro a rischi per la sua salute, e che in ogni caso l'aborto potrà essere ottenuto a quel punto solo con un intervento chirurgico.

4. Va anche aggiunto che questa pastiglia rende la donna protagonista dell'atto abortivo: è lei che "dà la morte" al proprio figlio, ingerendo la RU 486. Si invertono i ruoli tipici dell'aborto chirurgico: il medico non più protagonista ma assistente; la donna non più passiva ma protagonista dell'atto omicida.

Verso l'aborto "fai da te"

1. Ove la RU 486 venga usata dentro le procedure previste dalla 194, essa difficilmente può essere dichiarata "fuori legge", almeno nel senso formale del termine. Diverso è il discorso di un suo utilizzo "privatistico", che configurerebbe una violazione palese delle pur blande misure di controllo poste dalla Legge 194.

2. L'aborto avviene oggi normalmente con modalità chirurgiche particolarmente raccapriccianti. La donna deve sottoporsi a un intervento, all'anestesia totale, e ai rischi per la sua salute (pur modesti) connessi all'intervento. La RU 486 risponde al tentativo di rendere sempre più normale, semplice, sicuro e nascosto l'aborto.

3. In una prima fase, questo obiettivo è piuttosto arduo da raggiungere, perché con la RU 486 la donna vive per certi versi in presa diretta l'aborto molto più che nell'atto chirurgico: trascorre tre giorni sapendo che ormai ha attivato una procedura inarrestabile di avvelenamento del figlio, inarrestabile anche in caso di ripensamento; e "vede" il figlio espulso da sé come un vero e proprio rifiuto. Orribile.

4. Ma, d'altro canto, non si deve sottovalutare la possibilità di perfezionare questa arma chimica, tentando di eliminare i rischi di sanguinamento, la dolorosità, la "visibilità" dell'embrione espulso; affinandola insomma a tal punto da renderla agibile in farmacia come un normale prodotto da banco.

5. Si realizza in questo modo l'ultimo stadio della "normalizzazione" dell'aborto, che così sembra scomparire dalla società perché sfugge a ogni rilievo statistico e a ogni azione dissuasiva dei “pro life”, per diventare una faccenda completamente privata. Con la conseguenza di un incallimento delle coscienze che rende - in questo senso - più grave l'aborto chimico di quello chirurgico. Come scrisse Francesco Migliori, "Caino non deve più nascondersi".

La punta di un iceberg

Attenzione: il polverone sollevato dalla RU 486 non deve distrarci dalla corretta percezione della realtà: oggi, in Italia, l'aborto chimico è già attuato nella totale indifferenza delle leggi e dei codici deontologici della classe medica. Le donne usano la spirale o IUD, senza sapere che essa non è un contraccettivo ma provoca aborti. Inoltre, per iniziativa dell'ex ministro della sanità Umberto Veronesi, è disponibile in farmacia il Norlevo, prodotto dalla Angelini farmaceutica: una "pillola del giorno dopo" che provoca l'aborto ogni volta che sia assunta a seguito di un rapporto fertile. L'attuale ministro potrebbe ritirare questo prodotto con provvedimento analogo ma opposto a quello del suo predecessore, per sospetta compatibilità con la legge 194 vigente.

Effetti abortivi possono essere ottenuti attraverso l'uso combinato di pillole regolarmente in commercio, prodotte con finalità contraccettiva, ma capaci di impedire l'annidamento se miscelate in un certo modo. Perfino la classica pillola, assunta dalla donna con l'intento di impedire il concepimento, ha un effetto remoto ma assolutamente certo di carattere abortivo: una verità scomoda troppo spesso taciuta. Ne riparleremo.

Ricorda

"C'è qualcosa di terribilmente repellente in questa procedura. La giustificazione che nobiliterebbe il ricorso al nuovo veleno è che il rischio di complicanze per la madre diverrebbe irrilevante. Da dove nasce questo rischio? Da una decisione sommamente ingiusta o liberamente presa, quella di uccidere l'innocente. Si abbia il coraggio di dirlo apertamente: si è finalmente scoperto il modo di uccidere nel quale l'assassino non corre più alcun rischio serio" (L'Osservatore Romano, 12 novembre 1989).

© Il Timone - n. 23 Gennaio/Febbraio 2003



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