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domenica 24 febbraio 2008

IL FOGLIO: LA PILLOLA Ru486-PERICOLI

Il Foglio 14.1.2006

Di che cosa parliamo quando diciamo aborto chimico

Tutte le morti da Ru486. Solo una pillola, “il metodo meno invasivo”

Assuntina Morresi



"L’interruzione è andata bene e la paziente stava bene. La notte la paziente è andata in un night club. Si è lamentata di un dolore alla gamba, mal di testa, e del cuore in affanno. Ha avuto un collasso al night club ed è stata ricoverata in ospedale. La paziente è morta più tardi, la notte del sabato o la domenica mattina. L’amico, che era con lei al night club, ha dichiarato che la donna non aveva bevuto né preso farmaci. L’ostetrica ha ricevuto una chiamata dal coroner, che sta investigando sul caso. L’autopsia ha rivelato un litro di sangue nello stomaco della paziente e due ulcere gastriche. Il coroner ha preso in considerazione i farmaci utilizzati per l’interruzione della gravidanza, che potrebbero aver causato un problema cardiaco ed eventi trombotici”.

Sembra l’incipit di un horror movie, ma è uno dei 607 “eventi avversi” a seguito dell’aborto con la pillola Ru486 e segnalati spontaneamente alla Food and drug administration (l’ente americano preposto alla registrazione dei farmaci) fra il 2000 e il 2004. Il decesso descritto è avvenuto in Gran Bretagna. Tra i 607 casi si contano anche le morti di una sedicenne, in Svezia, per emorragia, e di tre americane: una per gravidanza extrauterina (la Ru486 non la interrompe ma ne maschera i sintomi) e due per shock settico. E ci sono altre due morti americane e una canadese per shock settico, e una in Francia per problemi cardiaci, per un totale di nove.

I 607 casi sono stati analizzati in un articolo pubblicato sugli Annals of Pharmacotheraphy, disponibile in rete. L’accesso è libero, può applicarsi alla lettura anche Silvio Viale, il ginecologo radicale che ha avviato la sperimentazione della pillola abortiva all’ospedale di Sant’Anna a Torino e che lo scorso 29 dicembre sulla Stampa denunciava “la malafede di chi insiste sugli aspetti negativi della Ru486. Peccato però che… non siano mai stati rilevati decessi o conseguenze devastanti per la salute della donna”. I decessi ci sono invece stati. E sono documentate almeno centinaia di emorragie, alcune gravissime, che in 42 casi hanno messo in pericolo di vita le donne. Altre quattro donne – di cui una quindicenne – sono sopravvissute a uno shock settico, mentre in 43 casi di infezione, iniettando una massiccia dose di antibiotici, si è scongiurato l’esito letale. 513 sono stati gli interventi chirurgici, quasi la metà d’urgenza. Tutto questo, solo negli Stati Uniti.

“Il tasso allarmante di morti di donne giovani e in salute nel Nord America deve essere attentamente esaminato prima di un uso generalizzato di questi farmaci nei paesi in via di sviluppo.”: lo scrivono a proposito della pillola abortiva due medici francesi dell’Hospital Cochin di Parigi, sempre sugli Annals of Pharmacotheraphy. Uno dei due è Didier Sicard, dal 1999 presidente del Comitato consultivo nazionale di etica francese, esperto di Aids e autore di saggi. Scrive Sicard: “Un recente caso fatale (in California) è stato quello di mia figlia di 34 anni, madre di due bambini, cinque giorni dopo aver preso mifepristone e misoprostol… è morta in poche ore per infezione e shock settico. Il giorno prima della sua morte ha avuto perdite di sangue, forti dolori addominali e capogiro… la mancanza di consapevolezza della gravità della situazione in questo momento è pericolosa”.

Sicard si dichiara preoccupato per la diffusione della Ru486 nei paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli africani, dove il tasso di infezioni batteriche genitali è alto e le strutture mediche scarse: teme “un significativo numero di morti” se non si rivedono le modalità d’uso della pillola abortiva. Suggerisce un uso sistematico degli antibiotici, prima, durante e dopo la somministrazione e l’assorbimento della pillola, e consiglia l’uso di un altro farmaco (corticosteroide) se si sospetta un inizio di shock settico. Questo sarebbe dunque “il metodo più semplice per interrompere la gravidanza”, come dichiarava ieri Carlo Flamigni sul Corriere, il meno invasivo rispetto all’aborto per aspirazione, che richiede pochi minuti?


Il Foglio 1.2.2006



I produttori della Ru486 non la registrano perché temono i controlli



Assuntina Morresi, Eugenia Roccella



Il 22 novembre scorso, Silvio Viale, il medico noto per aver avviato la sperimentazione della pillola abortiva Ru486 all’ospedale Sant’Anna di Torino, dichiarava: “Sembra un’epidemia… tutti a chiedersi come mai la ditta produttrice non abbia chiesto la registrazione del farmaco, insinuando che ci sia qualcosa di losco o di scientificamente poco valido”.

Perché, chiedeva accorato Viale, tanti sospetti nei confronti della Exelgyn, “piccola ditta nata con lo scopo di garantire la produzione di mifepristone”?

Gli rispondiamo subito. Contrariamente a quanto la campagna dei sostenitori dell’aborto chimico lascia capire, non esiste un divieto, un impedimento burocratico o legislativo che impedisca l’ingresso del farmaco in Italia. Semplicemente, la Exelgyn, che distribuisce la Ru486 in Europa, non ne ha mai chiesto la registrazione in Italia. Ai medici che vogliono proporre alle donne l’aborto chimico non resta che procurarsi i farmaci sfruttando le pieghe della legislazione, comprandoli all’estero o passando attraverso la finzione della sperimentazione.

Dopo i primi entusiasmi, accompagnati da roventi accuse al Vaticano o a Storace, tra i supporter della pillola abortiva si è creato un consistente imbarazzo. Più volte, infatti, è stato detto e scritto che l’iter per la registrazione italiana del farmaco era stato avviato, ma agli annunci non sono mai seguiti i fatti. Per settimane le notizie sulla Exelgyn si sono accavallate e inseguite fino a diventare ridicole: lo fa, lo sta per fare, l’ha già fatto, non l’ha ancora fatto ma lo farà. Alla fine, sulla questione è calato un velo pietoso di silenzio.

La citata dichiarazione di Silvio Viale si chiudeva con un invito ai giornalisti a chiedere direttamente alla Exelgyn i motivi per cui non promuove la procedura di mutuo riconoscimento per l’Italia. A noi il suggerimento è piaciuto, e l’abbiamo raccolto.

Il 15 dicembre abbiamo quindi inviato una prima mail con una serie di domande, che la Exelgyn ha ignorato. Due settimane dopo abbiamo mandato un cortese sollecito; dall’altra parte nessun segnale di vita. A tutt’oggi, la ditta non ha risposto, e ormai disperiamo lo faccia mai: il mistero sulla mancata richiesta di registrazione è ben custodito.

Nella lettera avevamo posto varie domande. Per esempio, perché l’azienda ha mai chiesto la registrazione del mifepristone all’Emea (l’ente europeo) come farmaco abortivo, ma solo per la sindrome di Cushing (una rara disfunzione endocrina); o perché non l’ha chiesta quando nel governo di centro-sinistra c’era un ministro come Veronesi, favorevole alla Ru486. Adesso il ministro Storace chiude i rubinetti che dall’estero rifornivano alcuni ospedali, sollevando grande indignazione.

Anche chi protesta dovrà però ammettere che comprare il farmaco in altri paesi non è una soluzione, come non lo è promuovere nuove sperimentazioni. L’unica sperimentazione effettiva è stata condotta dal ginecologo Giampiero Crosignani già nel 1988, a Milano, nell’ambito di una ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Non si può dunque fingere di sperimentare all’infinito, né si può continuare a lambiccarsi il cervello su come ottenere la pillola di straforo. Forse sarebbe bene che i sostenitori dell’aborto chimico si appellassero pubblicamente alla Exelgyn, chiedendo i motivi di tanta pudica ritrosia.

Chissà che a loro l’azienda non risponda?

La verità è che la distribuzione della Ru486 è sempre avvenuta con modalità molto particolari, seguendo procedure d’urgenza, come negli Usa, o su richiesta esplicita dei governi, come in Francia. Lo ha ammesso lo stesso Viale, invitando le regioni a esprimersi ufficialmente in favore della pillola abortiva, nell’ottobre scorso: “Nel 2004 la ditta francese mi disse che avrebbe agito solo su richiesta italiana”.

Così il farmaco può evitare controlli accurati sui protocolli e sui criteri delle sperimentazioni. La Exelgyn infatti non teme – come qualcuno ha detto – i boicottaggi degli antiabortisti: non producendo altri farmaci, non c’è boicottaggio che possa produrre effetti peggiori della mancata distribuzione. E’ più probabile che tema le verifiche.

Solo in mezzo ai tamburi e alle fanfare ideologiche, o nel silenzio di un’accettazione acritica, l’aborto chimico può passare come facile e sicuro, e persino “dalla parte delle donne”. Le riviste scientifiche cominciano a pubblicare dati sugli effetti negativi, la scarsa sicurezza, la minore efficacia, le controindicazioni mediche e logistiche del metodo. Se si alzano voci discordi, se si diffonde un’informazione più seria, la commercializzazione del farmaco potrebbe subire contraccolpi anche nel terzo mondo, il mercato più vasto e promettente per la Ru 486.

Va detto che, grazie alle denunce di molti gruppi femministi e ad un vivace movimento d’opinione, il rifiuto nei confronti della pillola abortiva, a livello internazionale, sta crescendo. Domenica in Australia si è svolta la giornata contro la Ru486, e in un sondaggio è emerso che solo il 33 per cento delle donne australiane sarebbe favorevole all’aborto chimico.


Il Foglio 23.12.2005



Quattro morti da RU486. Ora lo scrive anche il New York Times



Roma. Anche il New York Times di ieri, dopo che su questo giornale lo aveva anticipato una settimana fa (“Ombre e dolore sulla kill pill, e gli effetti collaterali si moltiplicano”, di Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella, Il Foglio del 16/11/05) ha dato ampio spazio alla notizia che sono diventate quattro, solo in California e solo dal settembre 2003 fino al giugno di quest’anno, le donne morte per shock settico provocato dall’uso della pillola abortiva Ru486. Quella, per intendersi, che medici come Silvio Viale del Sant’Anna di Torino o come Massimo Srebot dell’Ospedale Lotti di Pontedera presentano come il metodo più sicuro, indolore e “amichevole” per interrompere gravidanze indesiderate.

Il NYT prende spunto, come aveva fatto il Foglio, dall’allarme diffuso in una nota dello scorso 4 novembre dalla Food and drug administration statunitense. Che quattro decessi da Ru486 siano stati accertati solo in California dipende dal fatto che laggiù, nel settembre del 2003, è morta per shock settico da pillola abortiva la diciassettenne Holly Patterson, e che i suoi genitori hanno intrapreso una battaglia legale che ha portato, per ora alla modifica del foglietto illustrativo della Ru486 (che in America si chiama Mifeprex) e soprattutto all’attivazione di una rete di controllo sui suoi effetti.

Per questo è stato possibile far risalire all’assunzione della Ru486 le altre tre morti californiane per infezione letale da Clostridium sordellii. Dallo scorso 19 luglio la Fda (che ha escluso l’ipotesi di una contaminazione batterica della pillola venduta in California) raccomanda ai medici di verificare che le donne in procinto di usare la Ru486 non abbiano infezioni in corso. E ha annunciato che la valutazione dell’intera vicenda sarà fatta in un meeting organizzato con i Centers for Disease control and prevention federali per l’inizio del prossimo anno.


http://www.stranocristiano.it/news/news_0511/quattro_morti.htm

1 commento:

Anna Wharton ha detto...

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