ARTICOLI CONTRO L'ABORTO-ARTICOLI CHE DICHIARANO L'ABORTO UN CRIMINE CONTRO L'UMANITA'-ARTICOLI CHE SPIEGANO CHE IL FETO E' UNA PERSONA DOTATA DI UN'ANIMA SPIRITUALE.

venerdì 22 febbraio 2008

ABORTO:DECIDE LA DONNA

Lo scontro ideologico sull'aborto è più che mai alto con la campagna elettorale entrata nel vivo e i proclami di politici di destra e sinistra. Ma abortire è un fatto essenzialmente pratico, è una decisione che tante donne, un giorno, potrebbero trovarsi a dover prendere. Per chiarirci le idee su cosa accada quando si decide di interrompere una gravidanza abbiamo interpellato il dottor Silvio Viale, ginecologo del reparto Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale Sant'Anna di Torino.
"L'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) - ci spiega il dottore - è l'aborto che viene praticato, per decisione della donna, entro 90 giorni dal concepimento. Si tratta in genere delle gravidanze indesiderate, quelle che si sarebbero potute evitare con una buona contraccezione."

Cosa succede quando una donna decide di abortire?
"L'Ivg entro il 90° giorno prevede la richiesta della donna rispetto alla quale il medico è sostanzialmente un notaio. Si prepara un documento nel quale viene evidenziato che la signora ha chiesto l'interruzione della gravidanza. La si invita a soprassedere per 7 giorni dopo di che si può procedere immediatamente in qualunque ospedale."

Quindi le si danno 7 giorni per cambiare idea e poi si procede?
"Sì, la norma è molto ipocrita, prevede che si debba invitare la donna ad altre soluzioni possibili. E poi le liste d'attesa sono interminabili perché noi medici abortisti siamo poche centinaia in Italia. Quasi tutti i ginecologi sono obiettori."

E l'aborto terapeutico? È una locuzione singolare.
"Infatti. Si parla di aborto terapeutico nel caso di richiesta da parte della donna dopo il 90° giorno di gestazione, quando sussiste un grave rischio per la salute psichica della signora incinta come una depressione."

In genere si effettua nei casi di malformazione del feto?
"Non è esattamente così: l'aborto oltre i 90 giorni si può fare solo se il medico certifica un rischio grave per la salute psichica della donna. All'origine della richiesta in genere c'è una diagnosi di malformazione o anomalia cromosomica ma non è l'unico caso e non è necessario. Può anche capitare che la signora si sia accorta tardi della gravidanza. Capita soprattutto alle più giovani. Non esiste una lista delle malattie per le quali è previsto l'aborto. Quando Giuliano Ferrara, per esempio, dice che vuole fare togliere la sindrome di Klinefelter dalla lista della patologie per cui si può abortire, dice una cosa inesatta perché non esiste una simile lista."

Insomma non si può abortire se il figlio è malato ma solo se la malattia del figlio mette a rischio la psiche della madre?
"Esatto ma è una mezza finzione. Si certifica il rischio per la madre in modo da evitare che si possa parlare del cosiddetto aborto "eugenetico", cosa possibile in moti altri paesi ma non in Italia dove c'è questa grande ipocrisia: malformazione-aborto non è un passaggio automatico anche se in genere è così che vanno le cose."

Quindi basta che una donna dichiari di sentire che la propria salute mentale è a rischio?
"No. Si può sempre fare la domanda ma poi è il medico che decide e se la sua valutazione è negativa, non concede il permesso."

E se la donna non ottiene il permesso cosa può fare?
"Può opporsi e chiedere conto al medico della sua decisione. Cosa della quale poi il dottore dovrebbe rispondere. Ma quasi nessuna lo fa, molto più spesso cerca assitenza altrove, in un altro ospedale, più raramente porta avanti la gravidanza. Magari fa un aborto clandestino."

I dati dicono che sia un fenomeno in netto calo, immigrate a parte.
"Però ci sono ancora e non è vero che vi ricorrano soprattutto le immigrate. La straniera che arriva all'ospedale in preda a un'emorragia fa notizia. Ma mi risulta che gli aborti clandestini siano tuttora praticati soprattutto dalle donne del Sud. O da signore che cercano discrezione e anonimato presso studi privati compiacenti."

In ogni caso, ipocrisie legislative a parte, l'aborto terapeutico si esegue prevalentemente per malformazioni del feto?
"Oggi la diagnosi prenatale si può fare molto precocemente. Chi la fa in ritardo è chi non si è accorta per tempo della gravidanza. Ma c'è da dire una cosa: chi fa gli esami per capire se il feto è sano, è quasi sempre una donna, o una coppia, che già sa che non vorrà un figlio malato. Se una coppia fosse disposta ad accettare un bambino in qualunque condizione, non avrebbe motivo di fare le analisi. Il fatto è che quando ci si trova di fronte a questi drammi, cadono tutte le certezze e nessuno è in grado di sapere prima cosa farà. Bisogna trovarsi nella situazione."

Certo il dilemma se mettere al mondo un figlio malato o abortire può essere psicologicamente devastante.
"Nella mia carriera ho visto solo 2 donne portare avanti una gravidanza dopo una diagnosi per sindrome di Down e poi, in entrambi i casi, non hanno riconosciuto il bambino."

Lo hanno lasciato in ospedale?
"Sì, una delle due tempo dopo è anche venuta a sapere che il bambino era finito in un istituto. Lei sperava che qualcuno lo adottasse ma nessuno lo aveva voluto. Non è facile adottare un bimbo malato. "

Certo non può essere una soluzione quella di fare nascere un figlio malato sperando che sia qualcun altro a occuparsene.
"Io non dico mai cosa fare. Tutti mi chiedono dei consigli ma io non ne do mai. Una volta una coppia che pareva molto aperta all'idea di tenere un figlio affetto dalla sindrome di Down venne a chiedermi un parere. Io suggerii solo di fare un giro per il reparto infantile dove ci sono i bambini affetti dalla stessa sindrome. Decisero per l'aborto."

Nessuno accetta la malattia?
"Qualcuno c'è. Ogni tanto capita che una donna arrivi da me e mi dica: 'Mi hanno detto che devo abortire'. Ma questo è assurdo: una diagnosi di malformazione non implica necessariamente l'aborto se i genitori sono disposti ad accudire comunque il figlio. È una decisione individuale sulla quale nessuno, salvo i genitori, può sindacare o dare consigli."

Cosa fare per evitare un evento così traumatico?
"La prevenzione è non rimanere incinta tramite un uso appropriato della contraccezione. Metà delle gravidanze sono indesiderate di queste il 50% si concluderà con un aborto. Il 90% delle donne sa subito cosa farà, non ci sono tante incertezze in genere. Fra le indecise, quelle che cambiano idea e decidono di tenere il bambino sono il 10%."

Quali sono i motivi?
"È una grande sciocchezza quella che molte donne rinuncino a un figlio perché non lo possono mantenere. Nessuna abortisce per una questione di soldi ed è un insulto nei confronti delle donne il solo pensarlo. In molti danno come giustificazione quella che non si sia in grado di mantenerlo. Lo dicono tutti, anche i politici, perché è comodo raccontarsi questa storia ma non succede così. La vera motivazione è 'non potrei fare la vita che vorrei'. Ma in ogni caso è la donna che ha il diritto di valutare la scelta. Quella dei sostegni di carattere economico per convincere una donna a non abortire è una grande ipocrisia, è demagogia populista. Non si convince una donna che non vuole un figlio a farlo con mille o duemila euro."

Quindi gli aiuti finanziari non servono?
"A Milano il Movimento per la vita ha sostenuto un'iniziativa che prevedeva proprio questo: fare cambiare idea alle donne che avevano deciso di abortire promettendo loro 190 euro per 16 mensilità a partire dal terzo mese di gravidanza. Furono tutte truffe: mamme che in realtà non avevano mai pensato di abortire ma avevano finto per prendersi i soldi."

Tutti i dati danno l'aborto in diminuzione.
"In Italia ci sono 763mila gravidanze all'anno. Di queste, 550mila si risolvono in una nascita, 70mila in aborti spontanei, 130mila sono aborti volontari entro il 90° giorno, 10 mila aborti clandestini, tremila gli aborti terapeutici. Ma il fatto è che i paesi che hanno più nascite, hanno anche più aborti. La Francia ha il doppio degli aborti dell'Italia ma ha anche il doppio delle gravidanze e anche un uso decisamente maggiore della contraccezione. Stessa cosa per la Svezia e la Finlandia, ad esempio. Solo l'Olanda ha più nascite e meno aborti dell'Italia. In ogni caso sono le donne adulte che fanno meno aborti ma per le minorenni e le immigrate, che sono comunque più giovani quando restano incinte, i dati sono costanti, anzi in aumento. Nella fascia di età tra i 19 e i 25 anni l'aborto non è calato."

Più contraccezione, più gravidanze, più aborti all'estero: cosa c'è di diverso in Italia?
"Secondo me facciamo meno l'amore. Si parla tanto di sesso ma non si fa, siamo pieni di tabù. Siamo una società spenta.

Cosa pensa di tutte le polemiche innescate dal caso di Napoli?
"Che sull'aborto si fa una discussione prevalentemente astratta. Si parla in astratto del diritto alla vita o alla salute, tutti principi teorici non concretizzati. Tante ideologie e luoghi comuni a confronto mentre la decisione della donna è molto più concreta."
Forse perché a discutere di aborto sono sempre più spesso gli uomini.
"Questo non è vero. Non sono le donne le più sensibili all'argomento. Le ginecologhe sono molto più spesso obiettrici. I più impegnati su questo fronte sono maschi e lo fanno tutti per profonda convinzione ideologica, tutti convinti che spetti alla donna e solo a lei la decisione."
A cosa può portare questo clima di criminalizzazione dell'aborto?
"Ci si accanisce contro la minoranza di donne che abortiscono, che tra l'altro sono sempre meno. Prima della 194 abortivano due donne su tre. Rispetto a pressioni sociali e ideologiche così forti, anche chi è favorevole resta smarrito. Le donne che lo scelgono lo fanno sempre con un senso di colpa. Dicono 'ero costretta'. Oggi manca un movimento di donne che si assuma la responsabilità dell'aborto come scelta. È la classica battaglia dei diritti, della difesa di una minoranza."
Da tempo lei è al centro di una grossa polemica attorno al tema della pillola abortiva RU486. È stato accusato da più parti per essere stato uno dei primi a introdurne l'uso in Italia.
"La pillola abortiva emanciperà sempre più la donna dal medico rendendola più indipendente nella sua scelta. È un grande vantaggio, procura meno sintomi, meno problemi e, qualsiasi cosa si dica, rispetta la 194."

La RU486 viene somministrata in due tempi. Lei è stato accusato di avere lasciato andare a casa le sue pazienti fra una pillola e l'altra e di non averle tenute ricoverate per tutto il tempo. Si parla della violazione dell'ordinanza dell'allora ministro della Salute Storace che imponeva il ricovero.
"Io ritengo di non averla violata, non c'è nemmeno il rinvio a giudizio. Al Buzzi di Milano è successo lo stesso e hanno archiviato il caso. Succederà lo stesso per me. Sono sereno, apposto con la mia coscienza e pronto a rendere conto di tutte le accuse che mi sono mosse."

Secondo lei si tratta di accuse strumentali date dal clima di caccia alle streghe imperante?
"In tutto il mondo non si rimane in ospedale con la RU486 e la 194 non obbliga al ricovero, dice solo che gli atti abortivi devono esse fatti in ospedale o nei consultori. È solo un modo per boicottare la RU486 per questioni ideologiche."
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