La pillola abortiva del giorno dopo 1290 18/10/2005
ALLE DONNE VA DETTA LA VERITÀ
SULLA PILLOLA DEL GIORNO DOPO
Marina Corradi - Avvenire 23/09/05
L'alt alla sperimentazione della pillola abortiva Ru 486 imposto dal ministro alla Sanità sarebbe una reazione cattolica «alla pretesa delle donne di abortire senza una adeguata dose di sofferenza», secondo Miriam Mafai. «Un accanimento contro le donne», per la responsabile femminile dei Ds, Barbara Pollastrini. Dunque, "le" donne italiane pretendono il diritto all'aborto chimico e il Potere si accanisce contro "le" donne. Parrebbe, a leggere i quotidiani, che queste signore, insieme ad altre come Margherita Boniver («L'ennesimo tentativo di colpevolizzare le donne»), insomma a un drappello di femministe di lungo corso con scarso ricambio generazionale, rappresentino l'intera popolazione femminile italiana: che insorge contro l'obbligo dell'aborto chirurgico, là dove è ormai possibile prendere una pillola e risolvere il problema in maniera più "soft".
Al di là delle ragioni cliniche che hanno indetto il ministero a bloccare la sperimentazione, emerge fra le righe l'apprezzamento per questo aborto che farebbe soffrire di meno, e perciò sarebbe oggetto del veto catto-reazionario. Ciò che una ragazza che ascolti impara è che esiste un modo di interrompere la gravidanza "semplice", mandando giù una pillola, e che invece la si vuol costringere alla sala operatoria, in una mistica del dolore.
Quanto invece le Mafai e le Pollastrini non dicono è che quella pillola ci mette ben tre giorni, a liberarti del figlio che aspetti. La prima dose blocca i recettori del progesterone, l'ormone che sviluppa il tessuto uterino. Quando, 48 ore dopo, l'embrione è morto, la seconda parte del trattamento ne provoca l'espulsione. In tutto, tre giorni per un'agonia dentro se stesse. Tre giorni che possono essere interminabili, per tutte le donne che a quell'aborto sono arrivate magari per solitudine, o paura, o povert à, ma sanno che comunque ciò che stanno perdendo era un figlio - per quelle che chiamano le cose con il loro nome. Davvero è meglio questa lunga dolorosa attesa piuttosto del taglio netto di un intervento? Davvero conta così poco ciò che passa nei pensieri di una donna in quel silenzioso aspettare che la vita che stava crescendoti dentro, eliminata chimicamente, abbandoni il tuo corpo? Perché dire questa bugia a una generazione di ragazze, che, non sapendo, penseranno all'aborto in pillola come a qualcosa di più sopportabile, e saranno magari tentate - non sapendo - di usarlo come un estremo anticoncezionale d'emergenza?
L'altra mistificazione, sta in quella pretesa del drappello tardofemminista di parlare a nome "delle" donne. La pretesa delle donne di abortire senza sofferenza, «accanimento contro le donne», dicono, con la sottesa affermazione di essere portavoce dell'universo femminile tutto. Come se tutte le donne, in quanto tali, fossero schierate dietro di loro. Il che ricorda l'appello di Emma Bonino a pochi giorni dal referendum: "le" donne portino mariti, fratelli, figli a votare. A votare come la Bonino, sottinteso: immaginando ancora questa monade femminile, obbedientemente allineata nei dogmi del vecchio femminismo.
E, il giorno dopo, qualcuna a lamentarsi: «Le donne non hanno capito, le donne ci hanno tradito». In realtà, quelle donne avevano capito benissimo, e semplicemente non si riconoscevano né in quella battaglia, né nelle loro pretese rappresentanti. Dietro le alfiere del femminismo, erano rimaste in poche. Perché oggi ci sono tante donne diverse: cattoliche, o laiche ma con precise convinzioni sulla maternità. Ci sono e sono tante quelle che hanno abortito, e vorrebbero non averlo fatto. Ci sono quelle che non sanno ancora, e a cui non è giusto raccontare storie di aborto "semp lice". Di modo che, quando si sente una del solito drappello intonare il lamento: «È contro le donne», sarebbe opportuno dirle di parlare per sé e per quelle che davvero rappresenta. Ma non, per favore, in nostro nome.
L'alt alla sperimentazione della pillola abortiva Ru 486 imposto dal ministro alla Sanità sarebbe una reazione cattolica «alla pretesa delle donne di abortire senza una adeguata dose di sofferenza», secondo Miriam Mafai. «Un accanimento contro le donne», per la responsabile femminile dei Ds, Barbara Pollastrini. Dunque, "le" donne italiane pretendono il diritto all'aborto chimico e il Potere si accanisce contro "le" donne. Parrebbe, a leggere i quotidiani, che queste signore, insieme ad altre come Margherita Boniver («L'ennesimo tentativo di colpevolizzare le donne»), insomma a un drappello di femministe di lungo corso con scarso ricambio generazionale, rappresentino l'intera popolazione femminile italiana: che insorge contro l'obbligo dell'aborto chirurgico, là dove è ormai possibile prendere una pillola e risolvere il problema in maniera più "soft".
Al di là delle ragioni cliniche che hanno indetto il ministero a bloccare la sperimentazione, emerge fra le righe l'apprezzamento per questo aborto che farebbe soffrire di meno, e perciò sarebbe oggetto del veto catto-reazionario. Ciò che una ragazza che ascolti impara è che esiste un modo di interrompere la gravidanza "semplice", mandando giù una pillola, e che invece la si vuol costringere alla sala operatoria, in una mistica del dolore.
Quanto invece le Mafai e le Pollastrini non dicono è che quella pillola ci mette ben tre giorni, a liberarti del figlio che aspetti. La prima dose blocca i recettori del progesterone, l'ormone che sviluppa il tessuto uterino. Quando, 48 ore dopo, l'embrione è morto, la seconda parte del trattamento ne provoca l'espulsione. In tutto, tre giorni per un'agonia dentro se stesse. Tre giorni che possono essere interminabili, per tutte le donne che a quell'aborto sono arrivate magari per solitudine, o paura, o povert à, ma sanno che comunque ciò che stanno perdendo era un figlio - per quelle che chiamano le cose con il loro nome. Davvero è meglio questa lunga dolorosa attesa piuttosto del taglio netto di un intervento? Davvero conta così poco ciò che passa nei pensieri di una donna in quel silenzioso aspettare che la vita che stava crescendoti dentro, eliminata chimicamente, abbandoni il tuo corpo? Perché dire questa bugia a una generazione di ragazze, che, non sapendo, penseranno all'aborto in pillola come a qualcosa di più sopportabile, e saranno magari tentate - non sapendo - di usarlo come un estremo anticoncezionale d'emergenza?
L'altra mistificazione, sta in quella pretesa del drappello tardofemminista di parlare a nome "delle" donne. La pretesa delle donne di abortire senza sofferenza, «accanimento contro le donne», dicono, con la sottesa affermazione di essere portavoce dell'universo femminile tutto. Come se tutte le donne, in quanto tali, fossero schierate dietro di loro. Il che ricorda l'appello di Emma Bonino a pochi giorni dal referendum: "le" donne portino mariti, fratelli, figli a votare. A votare come la Bonino, sottinteso: immaginando ancora questa monade femminile, obbedientemente allineata nei dogmi del vecchio femminismo.
E, il giorno dopo, qualcuna a lamentarsi: «Le donne non hanno capito, le donne ci hanno tradito». In realtà, quelle donne avevano capito benissimo, e semplicemente non si riconoscevano né in quella battaglia, né nelle loro pretese rappresentanti. Dietro le alfiere del femminismo, erano rimaste in poche. Perché oggi ci sono tante donne diverse: cattoliche, o laiche ma con precise convinzioni sulla maternità. Ci sono e sono tante quelle che hanno abortito, e vorrebbero non averlo fatto. Ci sono quelle che non sanno ancora, e a cui non è giusto raccontare storie di aborto "semp lice". Di modo che, quando si sente una del solito drappello intonare il lamento: «È contro le donne», sarebbe opportuno dirle di parlare per sé e per quelle che davvero rappresenta. Ma non, per favore, in nostro nome.
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LA PILLOLA RU 486
non è in vendita in Italia - almeno per il momento
di Mario Palmaro
La pillola RU 486 introduce l'aborto “fai da te”. Sperimentata in un ospedale piemontese. Diabolico obiettivo: aggirare l'obiezione di coscienza di medici e infermieri antiabortisti e rendere la donna unica protagonista dell'uccisione del suo bambino.
Il grande scienziato francese Jérome Lejeune l'aveva definita senza troppi giri di parole: un "pesticida umano". Ora la RU 486, la pillola che provoca l'aborto se assunta entro il secondo mese di gravidanza, è sbarcata anche in Italia. Il via libera è arrivato dal Comitato etico della Regione Piemonte, che nell'ottobre 2002 ha approvato la sperimentazione di questo prodotto chimico presso l'ospedale Sant'Anna.
Dal gennaio 2003 i nascituri di Torino cominceranno a essere uccisi con questo nuovo sistema, che verrà testato su 400 donne incinte.
Che cos'è la RU 486
La RU 486 è un prodotto chimico a base di Mifepristone, un potente antiormone che interrompe l'annidamento dell'embrione nell'utero e provoca l'aborto del concepito. La RU 486 - che non può essere definita un farmaco, poiché non serve a curare una patologia - viene assunta dalla donna come una normale pastiglia. Trascorsi tre giorni, i medici somministrano alla madre una sostanza che induce le contrazioni e provoca l'espulsione dell'embrione nel 60% dei casi. Poiché la procedura è dolorosa e non esente da complicanze per la donna, per ora la somministrazione della pastiglia deve avvenire in ambiente ospedaliero, dove la donna stessa verrà tenuta in osservazione per alcune ore dopo l'aborto, e visitata di nuovo circa 15 giorni dopo.
Un po' di storia
La RU 486 è stata prodotta dai laboratori della Roussel Uclaf, una società controllata dal Governo francese e dal gruppo tedesco Hoechst. Non è un caso che nella genealogia delle aziende chimiche tedesche compaia anche la l.G. Farben, che produceva il famigerato Zyclon B., il gas omicida usato da Hitler. La RU 486 è usata da 10 anni in Francia, mentre è sbarcata negli Usa nel 2000. Un comunicato stampa del 23 giugno 1988 dimostra il coinvolgimento dell'ONU nella realizzazione del prodotto: è la stessa Roussel Uclaf a dichiarare di "averlo sviluppato in collaborazione con l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Unfpa", che sono agenzie ONU. È evidente che il prodotto sarebbe utilissimo per "diradare" le popolazioni dei paesi poveri, soprattutto dove non esistano presidi chirurgici adeguati per promuovere l'aborto su scala mondiale. In Italia, di RU 486 si iniziò a parlare nel 1989, quando l'allora sottosegretario alla sanità, la socialista Elena Marinucci, ne caldeggiò (senza successo) l'adozione nel nostro Paese.
Ora l'operazione è riuscita per iniziativa dei soliti radicali e di alcuni medici abortisti in quella Torino che è la città di don Bosco ma anche della massoneria e del satanismo. Nulla avviene per caso.
Aspetti giuridici
1. La prima considerazione da fare è che la RU 486 non è che uno fra i tanti modi con cui è possibile uccidere l'innocente. Viene presentata come uno strumento "umanitario" così come i giacobini offrirono alle vittime del Terrore la ghigliottina, considerata "umanitaria" rispetto alla fucilazione e alla forca. La conclusione era in entrambi i casi la morte dei condannati. Dunque, la radice di ogni male è rappresentato da una legge “integralmente iniqua” - come la 194/1978 nel caso dell'Italia - che ammette l'autodeterminazione della donna, affidando al suo totale arbitrio la vita del concepito. Posto questo antiprincipio aberrante, tutto diventa possibile.
2. Uno degli scopi meno evidenti ma più diabolici della RU 486 è l'aggiramento della obiezione di coscienza. Potrà accadere infatti che, un aborto chimico "iniziato" qualche giorno prima, presenti delle complicanze tali da richiedere l'intervento del personale ospedaliero. A questo punto, in casi di urgenza e rischio per la salute della donna, un medico o un infermiere obiettore di turno si vedranno costretti dalla legge a continuare l'opera nefanda dei colleghi abortisti.
3. Nel consenso informato che viene firmato dalla donna prima di iniziare il "trattamento", la gestante viene avvertita che in caso di "fallimento" - vale a dire se il nascituro sopravvive alla dose di veleno - il nascituro andrà incontro a rischi per la sua salute, e che in ogni caso l'aborto potrà essere ottenuto a quel punto solo con un intervento chirurgico.
4. Va anche aggiunto che questa pastiglia rende la donna protagonista dell'atto abortivo: è lei che "dà la morte" al proprio figlio, ingerendo la RU 486. Si invertono i ruoli tipici dell'aborto chirurgico: il medico non più protagonista ma assistente; la donna non più passiva ma protagonista dell'atto omicida.
Verso l'aborto "fai da te"
1. Ove la RU 486 venga usata dentro le procedure previste dalla 194, essa difficilmente può essere dichiarata "fuori legge", almeno nel senso formale del termine. Diverso è il discorso di un suo utilizzo "privatistico", che configurerebbe una violazione palese delle pur blande misure di controllo poste dalla Legge 194.
2. L'aborto avviene oggi normalmente con modalità chirurgiche particolarmente raccapriccianti. La donna deve sottoporsi a un intervento, all'anestesia totale, e ai rischi per la sua salute (pur modesti) connessi all'intervento. La RU 486 risponde al tentativo di rendere sempre più normale, semplice, sicuro e nascosto l'aborto.
3. In una prima fase, questo obiettivo è piuttosto arduo da raggiungere, perché con la RU 486 la donna vive per certi versi in presa diretta l'aborto molto più che nell'atto chirurgico: trascorre tre giorni sapendo che ormai ha attivato una procedura inarrestabile di avvelenamento del figlio, inarrestabile anche in caso di ripensamento; e "vede" il figlio espulso da sé come un vero e proprio rifiuto. Orribile.
4. Ma, d'altro canto, non si deve sottovalutare la possibilità di perfezionare questa arma chimica, tentando di eliminare i rischi di sanguinamento, la dolorosità, la "visibilità" dell'embrione espulso; affinandola insomma a tal punto da renderla agibile in farmacia come un normale prodotto da banco.
5. Si realizza in questo modo l'ultimo stadio della "normalizzazione" dell'aborto, che così sembra scomparire dalla società perché sfugge a ogni rilievo statistico e a ogni azione dissuasiva dei “pro life”, per diventare una faccenda completamente privata. Con la conseguenza di un incallimento delle coscienze che rende - in questo senso - più grave l'aborto chimico di quello chirurgico. Come scrisse Francesco Migliori, "Caino non deve più nascondersi".
La punta di un iceberg
Attenzione: il polverone sollevato dalla RU 486 non deve distrarci dalla corretta percezione della realtà: oggi, in Italia, l'aborto chimico è già attuato nella totale indifferenza delle leggi e dei codici deontologici della classe medica. Le donne usano la spirale o IUD, senza sapere che essa non è un contraccettivo ma provoca aborti. Inoltre, per iniziativa dell'ex ministro della sanità Umberto Veronesi, è disponibile in farmacia il Norlevo, prodotto dalla Angelini farmaceutica: una "pillola del giorno dopo" che provoca l'aborto ogni volta che sia assunta a seguito di un rapporto fertile. L'attuale ministro potrebbe ritirare questo prodotto con provvedimento analogo ma opposto a quello del suo predecessore, per sospetta compatibilità con la legge 194 vigente.
Effetti abortivi possono essere ottenuti attraverso l'uso combinato di pillole regolarmente in commercio, prodotte con finalità contraccettiva, ma capaci di impedire l'annidamento se miscelate in un certo modo. Perfino la classica pillola, assunta dalla donna con l'intento di impedire il concepimento, ha un effetto remoto ma assolutamente certo di carattere abortivo: una verità scomoda troppo spesso taciuta. Ne riparleremo.
Ricorda
"C'è qualcosa di terribilmente repellente in questa procedura. La giustificazione che nobiliterebbe il ricorso al nuovo veleno è che il rischio di complicanze per la madre diverrebbe irrilevante. Da dove nasce questo rischio? Da una decisione sommamente ingiusta o liberamente presa, quella di uccidere l'innocente. Si abbia il coraggio di dirlo apertamente: si è finalmente scoperto il modo di uccidere nel quale l'assassino non corre più alcun rischio serio" (L'Osservatore Romano, 12 novembre 1989).
© Il Timone - n. 23 Gennaio/Febbraio 2003
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LA VOCE CATTOLICA
http://www.noicattolici.it:80/
ARTICOLI CONTRO L'ABORTO-ARTICOLI CHE DICHIARANO L'ABORTO UN CRIMINE CONTRO L'UMANITA'-ARTICOLI CHE SPIEGANO CHE IL FETO E' UNA PERSONA DOTATA DI UN'ANIMA SPIRITUALE.
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lunedì 4 agosto 2008
sabato 23 febbraio 2008
ABORTO: VERITA' E MENZOGNE
Aborto: verità e menzogne
Da quando c’è la 194 (dal 1978) gli aborti registrati legalmente in Italia si sono mantenuti sostanzialmente sui 200 mila l’anno. C’è stato un leggero calo, è vero, ma solo in Italia. Negli altri paesi “più civilizzati” del nostro (Francia, Inghilterra, Svezia), no. Perché? Perché non è la legalizzazione dell’aborto a ridurre l’aborto, ma la cultura della vita, che in Italia è certamente più forte che altrove grazie anche alla presenza di moltissimi volontari laici e cattolici.
Pensate che in Inghilterra – tanto per dirne una – dal 1967 (anno dell’introduzione legale dell’aborto) gli aborti clandestini non sono neppure diminuiti – stessa cosa per i paesi scandinavi, per la Russia, il Giappone, la Germania, etc.
Dicevano che la 194 avrebbe ridotto la piaga delle morti per aborto clandestino: dicevano (i radicali) che ogni anno in Italia si facevano (prima della 194) fino a 3 milioni di aborti clandestini. Se questo fosse vero, perché con l’avvento della 194 in Italia non si sono fatti 3 milioni di aborti legali? In Italia dal 1978 si sono registrati al massimo 240 mila aborti “legali”. E allora tutti quelli che mancano per arrivare ai 3 milioni annui che decantava la campagna abortista dei radicali? Che fine hanno fatto? Da tre milioni di aborti clandestini, siamo improvvisamente passati a 200 mila aborti legali?! Possibile che con la 194, di colpo in Italia è sceso così drasticamente il numero degli aborti? Verrebbe da pensare che: 1) o in Italia si è continuato a fare aborti clandestini in maniera massiccia – e in questo caso la 194 sarebbe servita a ben poco. 2) O le cifre date dai radicali erano appena appena pompate. Io protendo per la seconda. Anche perché se andiamo a vedere i dati statistici (dall’Annuario Statistico del 1974), ci risulta che le donne in età feconda (cioè dai 15 ai 45 anni) decedute in Italia nel 1972 sono in tutto 15116, e che di queste solo una piccola parte (409) sono morte per cause connaturate alla gravidanza. Se poi andiamo a considerare che di queste 409 una parte ancora più piccola è deceduta in seguito a un aborto clandestino, il gioco è fatto.
Pensate che la propaganda abortista diceva che in Italia (prima della 194) si arrivavano a fare 3 (anche 4!) milioni di aborti clandestini. E che da questi ne derivassero circa 25 mila donne morte. 25 mila! Ma se dall’annuario statistico non ci risultano più di 15 mila donne decedute per le ragioni più svariate? Come possiamo arrivare a 25 mila solo per gli aborti clandestini?! Senza considerare che poi negli anni a venire – dopo la 194 – il numero statistico di donne decedute in età feconda si è sempre attestato sui 15 mila. Capite bene, dunque, che la 194 non ha debellato la piaga degli aborti clandestini: il numero di donne (in età feconda) morte in quegli anni è sostanzialmente rimasto invariato, anche dopo la 194.
Ripeto: da dati statistici ufficiali, risulta che il numero di donne morte in età feconda dall’entrata in vigore della 194 non ha avuto alcuna significativa diminuzione improvvisa. E questo sta a indicare che le morti per aborto clandestino prima della 194 erano così poche da non avere rilevanza numerica nel complesso della mortalità femminile di quegli anni. E che quindi la 194 non ha cambiato alcunché.
La propaganda abortista, inoltre, diceva di aver debellato, con la 194, i milioni di aborti clandestini che si facevano in Italia, sottraendo le donne dal potere delle “mammane”. Ma anche questo è falso, perché i dati ufficiali degli aborti legali registrati in Italia non hanno mai superato i 240 mila. E poi a rigor di logica una domanda sorge spontanea: ma se erano clandestini, come facevano i radicali a dire che in Italia venivano fatti fino a 3, 4 milioni di aborti “clandestini” all’anno? Cos’è? Avevano il “Pubblico Registro degli Aborti Clandestini”?
Eppure gli aborti clandestini rimangono. Stime del Ministero della Salute parlano di circa 20 mila aborti clandestini l’anno. Aborti che non vengono più praticati dalle mammane, ma in ambiente ospedalieri: sono state scoperte cliniche a Roma, Genova, Torino, Salerno…
Il demografo Massimo Livi Bacci, dopo aver ribadito che la 194 è una buona legge perché ha “circoscritto” la pratica dell’aborto clandestino, “ammette” che alcune stime fanno a tutt’oggi pensare a circa 20 mila aborti clandestini l’anno (in Italia). E questa – dico io - sarebbe una buona legge perché ha “circoscritto” il fenomeno dell’aborto clandestino?! Stiamo parlando di 20 aborti clandestini l’anno, mica di bruscolini! Ma non doveva, la 194, debellare del tutto questa piaga?! A quanto pare non l’ha neanche scalfita!
Realisticamente parlando – senza stare a sparare panzane – prima del 1978 gli aborti clandestini in Italia dovevano essere all’incirca 20 mila l’anno. Se ne deduce che la 194 ha fallito totalmente sul fronte della clandestinità. Lo stesso dicasi per gli altri paesi che hanno legalizzato l’aborto.
Basterebbe applicare meglio e più giustamente la 194. Non risolverebbe il problema, ma già sarebbe tanto. Si fa un gran parlare del “diritto di scelta”: l’unico diritto di scelta che però si garantisce alle donne è quello di abortire. Nessuno che si sia veramente mosso a favore dell’altra faccia della medaglia. Nessuno che abbia mai attuato una politica sociale a favore delle maternità.
In realtà le donne che hanno abortito si sono trovate “costrette” ad abortire – altro che diritto di scelta! Nessuna donna ha avuto davvero libera scelta. Se veramente le fosse stata data la possibilità di scegliere tra la vita e la morte del proprio figlio, credo che difficilmente una mamma avrebbe scelto di abortire. Una donna che si trova a dover decidere se abortire o no, non dovrebbe essere lasciata sola – è questa la verità! Lo stato dovrebbe prospettarle un aiuto concreto a “scegliere” per la vita, e non garantirle solo la possibilità “scegliere” per la morte.
Quando una donna si trova in difficoltà nel portare avanti una gravidanza, non si risolve il problema eliminando la gravidanza. Il problema lo si risolve – molto più civilmente e molto più umanamente – aiutando quella donna ad affrontare le sue problematiche, per economiche o sociali che possano essere.
Buona Vita!
http://www.neviomanente.com/?p=114
Da quando c’è la 194 (dal 1978) gli aborti registrati legalmente in Italia si sono mantenuti sostanzialmente sui 200 mila l’anno. C’è stato un leggero calo, è vero, ma solo in Italia. Negli altri paesi “più civilizzati” del nostro (Francia, Inghilterra, Svezia), no. Perché? Perché non è la legalizzazione dell’aborto a ridurre l’aborto, ma la cultura della vita, che in Italia è certamente più forte che altrove grazie anche alla presenza di moltissimi volontari laici e cattolici.
Pensate che in Inghilterra – tanto per dirne una – dal 1967 (anno dell’introduzione legale dell’aborto) gli aborti clandestini non sono neppure diminuiti – stessa cosa per i paesi scandinavi, per la Russia, il Giappone, la Germania, etc.
Dicevano che la 194 avrebbe ridotto la piaga delle morti per aborto clandestino: dicevano (i radicali) che ogni anno in Italia si facevano (prima della 194) fino a 3 milioni di aborti clandestini. Se questo fosse vero, perché con l’avvento della 194 in Italia non si sono fatti 3 milioni di aborti legali? In Italia dal 1978 si sono registrati al massimo 240 mila aborti “legali”. E allora tutti quelli che mancano per arrivare ai 3 milioni annui che decantava la campagna abortista dei radicali? Che fine hanno fatto? Da tre milioni di aborti clandestini, siamo improvvisamente passati a 200 mila aborti legali?! Possibile che con la 194, di colpo in Italia è sceso così drasticamente il numero degli aborti? Verrebbe da pensare che: 1) o in Italia si è continuato a fare aborti clandestini in maniera massiccia – e in questo caso la 194 sarebbe servita a ben poco. 2) O le cifre date dai radicali erano appena appena pompate. Io protendo per la seconda. Anche perché se andiamo a vedere i dati statistici (dall’Annuario Statistico del 1974), ci risulta che le donne in età feconda (cioè dai 15 ai 45 anni) decedute in Italia nel 1972 sono in tutto 15116, e che di queste solo una piccola parte (409) sono morte per cause connaturate alla gravidanza. Se poi andiamo a considerare che di queste 409 una parte ancora più piccola è deceduta in seguito a un aborto clandestino, il gioco è fatto.
Pensate che la propaganda abortista diceva che in Italia (prima della 194) si arrivavano a fare 3 (anche 4!) milioni di aborti clandestini. E che da questi ne derivassero circa 25 mila donne morte. 25 mila! Ma se dall’annuario statistico non ci risultano più di 15 mila donne decedute per le ragioni più svariate? Come possiamo arrivare a 25 mila solo per gli aborti clandestini?! Senza considerare che poi negli anni a venire – dopo la 194 – il numero statistico di donne decedute in età feconda si è sempre attestato sui 15 mila. Capite bene, dunque, che la 194 non ha debellato la piaga degli aborti clandestini: il numero di donne (in età feconda) morte in quegli anni è sostanzialmente rimasto invariato, anche dopo la 194.
Ripeto: da dati statistici ufficiali, risulta che il numero di donne morte in età feconda dall’entrata in vigore della 194 non ha avuto alcuna significativa diminuzione improvvisa. E questo sta a indicare che le morti per aborto clandestino prima della 194 erano così poche da non avere rilevanza numerica nel complesso della mortalità femminile di quegli anni. E che quindi la 194 non ha cambiato alcunché.
La propaganda abortista, inoltre, diceva di aver debellato, con la 194, i milioni di aborti clandestini che si facevano in Italia, sottraendo le donne dal potere delle “mammane”. Ma anche questo è falso, perché i dati ufficiali degli aborti legali registrati in Italia non hanno mai superato i 240 mila. E poi a rigor di logica una domanda sorge spontanea: ma se erano clandestini, come facevano i radicali a dire che in Italia venivano fatti fino a 3, 4 milioni di aborti “clandestini” all’anno? Cos’è? Avevano il “Pubblico Registro degli Aborti Clandestini”?
Eppure gli aborti clandestini rimangono. Stime del Ministero della Salute parlano di circa 20 mila aborti clandestini l’anno. Aborti che non vengono più praticati dalle mammane, ma in ambiente ospedalieri: sono state scoperte cliniche a Roma, Genova, Torino, Salerno…
Il demografo Massimo Livi Bacci, dopo aver ribadito che la 194 è una buona legge perché ha “circoscritto” la pratica dell’aborto clandestino, “ammette” che alcune stime fanno a tutt’oggi pensare a circa 20 mila aborti clandestini l’anno (in Italia). E questa – dico io - sarebbe una buona legge perché ha “circoscritto” il fenomeno dell’aborto clandestino?! Stiamo parlando di 20 aborti clandestini l’anno, mica di bruscolini! Ma non doveva, la 194, debellare del tutto questa piaga?! A quanto pare non l’ha neanche scalfita!
Realisticamente parlando – senza stare a sparare panzane – prima del 1978 gli aborti clandestini in Italia dovevano essere all’incirca 20 mila l’anno. Se ne deduce che la 194 ha fallito totalmente sul fronte della clandestinità. Lo stesso dicasi per gli altri paesi che hanno legalizzato l’aborto.
Basterebbe applicare meglio e più giustamente la 194. Non risolverebbe il problema, ma già sarebbe tanto. Si fa un gran parlare del “diritto di scelta”: l’unico diritto di scelta che però si garantisce alle donne è quello di abortire. Nessuno che si sia veramente mosso a favore dell’altra faccia della medaglia. Nessuno che abbia mai attuato una politica sociale a favore delle maternità.
In realtà le donne che hanno abortito si sono trovate “costrette” ad abortire – altro che diritto di scelta! Nessuna donna ha avuto davvero libera scelta. Se veramente le fosse stata data la possibilità di scegliere tra la vita e la morte del proprio figlio, credo che difficilmente una mamma avrebbe scelto di abortire. Una donna che si trova a dover decidere se abortire o no, non dovrebbe essere lasciata sola – è questa la verità! Lo stato dovrebbe prospettarle un aiuto concreto a “scegliere” per la vita, e non garantirle solo la possibilità “scegliere” per la morte.
Quando una donna si trova in difficoltà nel portare avanti una gravidanza, non si risolve il problema eliminando la gravidanza. Il problema lo si risolve – molto più civilmente e molto più umanamente – aiutando quella donna ad affrontare le sue problematiche, per economiche o sociali che possano essere.
Buona Vita!
http://www.neviomanente.com/?p=114
martedì 15 gennaio 2008
TUTTA LA VERITA' SULL'ABORTO
1. L'embrione umano: vero uomo
http://www.fuocovivo.org/MOVIMENTO/abortotuttalaverit.htm
Nessuno potrebbe sostenere il cosiddetto «diritto di abortire» se non si desse per scontato un falso punto di partenza; e cioè che il frutto del concepimento, prima di nascere, è di fatto una realtà di serie B per quanto riguarda la sua condizione umana. Dunque uno dei principali nodi da sciogliere è proprio questo: il frutto del concepimento, l'embrione, è un essere umano a tutti gli effetti o no? Sinceramente la domanda fa un po' sorridere... ed è veramente incredibile che vi siano discussioni su questo punto anche tra gli stessi «scienziati». Vediamo di seguire insieme un ragionamento tutto sommato molto semplice e logico che ci toglierà questo dubbio.
Che l'embrione sia un individuo umano risulta scientificamente dalla ricerca sul DNA in base alla quale sappiamo che dall'integrazione dei due insiemi di informazioni genetiche al momento della fecondazione emergono un nuovo progetto e un nuovo programma inscritti nel genoma dello zigote. Ne risulta un «progetto/uomo» inciso indelebilmente, per cui l'uovo fertilizzato di un essere umano è in se stesso una vita umana, in quanto la trascrizione di geni strutturali entra in gioco proprio all'inizio dello sviluppo.
60. Alcuni tentano infatti di giustificare l'aborto sostenendo che il frutto del concepimento, almeno fin a un certo numero di giorni, non può essere ancora considerato una vita umana personale. In realtà, dal momento in cui l'ovulo è fecondato si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre... la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona con le sue note caratteristiche già ben determinate. [...] L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita.
(Evangelium Vitae, 60)
Detto in altre parole, in seguito alla fecondazione viene generato un nuovo DNA (il progetto/uomo) dall'integrazione dei patrimoni genetici del papà e della mamma. Sappiamo che il DNA è il codice genetico unico e irripetibile che contiene la descrizione esatta di ognuno di noi, e anche in questo caso (in seguito alla fecondazione) contiene già tutto il programma di sviluppo del nuovo essere umano. Ogni cosa è già definita fin da questo momento: tratti somatici, occhi, capelli, sesso, statura etc... Da questo momento inizia il processo di sviluppo del nuovo essere umano che non si arresterà più fino alla sua morte.
Un bambino a cinque anni è diverso rispetto a quando ne aveva uno, giusto? Allo stesso modo il feto è diverso dall'embrione, ma stiamo parlando sempre della stessa persona in momenti diversi del suo sviluppo. Le definizioni dei vari momenti dello sviluppo non possono mettere in discussione la natura stessa di ciò che si sta sviluppando, e cioè un essere umano. Le definizioni sono tante, ma hanno solo la funzione di contrassegnare momenti differenti di un unico sviluppo che inizia appunto dal concepimento stesso. Embrione, pre-embrione, blastocista, stria primitiva, feto, bambino, adolescente, adulto, anziano... è chiaro? Fasi diverse di un unico processo evolutivo. Se ci pensate bene è anche logico... Qualcuno dovrebbe spiegarci in base a quali parametri inconfutabili e oggettivi si sente autorizzato a decidere che ad un certo punto si può parlare di individuo umano e prima no!
Alcuni «scienziati» sostengono infatti che si può parlare di individuo umano soltanto dopo 15-16 giorni dall'ovulazione, cioè allo stadio di "stria primitiva". Vi rendete conto anche voi che questa affermazione è del tutto arbitraria e per niente oggettiva, non essendo peraltro dimostrabile scientificamente. L'unica cosa dimostrata dalla scienza è quella che abbiamo affermato fino ad ora, e cioè che il frutto del concepimento è biologicamente nuovo, umano e individualizzato. Non ha senso dire che dal 15° giorno è un individuo umano e al 14° invece no! Questi signori dovrebbero spiegarci cosa avviene di tanto speciale nella notte tra il 14° e il 15° giorno!
Bene, a questo punto facciamo un passo avanti e iniziamo a domandarci cos'è l'aborto procurato.
Gravidanza extrauterina operata 6 settimane dopo il primo giorno dell'ultima mestruazione. Questo piccolissimo essere umano era ancora vivo.
2. Cos'è l'aborto?
Abbiamo visto nel capitolo precedente che fin dal concepimento è generato un nuovo essere umano a tutti gli effetti che inizia il suo processo di sviluppo e crescita. Questo punto di partenza è particolarmente importante per comprendere come anche alcuni farmaci che vengono ingannevolmente definiti "contraccettivi" sono invece abortivi a pieno titolo. In questo caso si parla di "aborto chimico". Penso ad esempio alla RU-486, cioè la "pillola del giorno dopo"... È bene sapere che essa interviene ad ovulo già fecondato, cioè già in presenza di un embrione umano, impedendo che l'embrione stesso si annidi nella parete uterina e prosegua il suo sviluppo. In effetti la "pillola del giorno dopo" non si può neanche definire un farmaco, in quanto la gravidanza non è una malattia! Essa è a tutti gli effetti il primo pesticida anti-umano della storia, la prima pillola ad avere come unico scopo la soppressione della vita. Per approfondire questo argomento vi rimando al testo della Pontificia Academia Pro Vita "Comunicato sulla cosiddetta pillola del giorno dopo".
Ma torniamo al nostro quesito: cos'è l'aborto? Partendo dal presupposto del capitolo precedente ne deriva che "l'aborto procurato" o "interruzione volontaria della gravidanza" rappresenta sempre e comunque la soppressione di una vita umana già in evoluzione. In altre parole si tratta di omicidio.
Fra tutti i delitti che l'uomo può compiere contro la vita, l'aborto procurato presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente grave e deprecabile. Il Concilio Vaticano II lo definisce, insieme all'infanticidio, «delitto abominevole».
(Evangelium Vitae, 58)
Sono parole estremamente dure che a qualcuno potrebbero sembrare addirittura esagerate... ma non è così. Il report fotografico che abbiamo preparato vi convincerà senz'altro di queste affermazioni mettendovi difronte a una realtà tanto tragica quanto ignorata.
Certamente esistono situazioni umanamente terribili che possono indurre il malcapitato a considerare l'aborto come una valida e lecita scappatoia. Pensiamo ad esempio a una ragazza che dovesse scoprirsi incinta dopo aver subito una violenza carnale... oppure a una famiglia disagiata che si dovesse trovare a far fronte a una gravidanza inaspettata... o ancora ad una donna che dovesse scoprire di portare in grembo un feto gravemente malformato.
Sono indubbiamente casi di pesante disagio, è innegabile, ma neanche in queste situazioni estreme possiamo permetterci di essere tanto presuntuosi al punto da ritenerci autorizzati a decidere della sorte di una vita innocente.
Piuttosto che ricorrere all'aborto uccidendo un bambino innocente, se proprio la situazione è disperata, ci si può avvalere del diritto di partorire nell'anonimato per poi dare il bimbo in adozione. Se non c'è proprio altra scelta... almeno si scelga il male minore.
L'accettazione dell'aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita. Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno. [...] Proprio nel caso dell'aborto si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di «interruzione della gravidanza», che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuarne la gravità nell'opinione pubblica. [...] Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita.
(Evangelium Vitae, 58)
Va sottolineato che se oggi il ricorso all'aborto procurato è così diffuso lo si deve in gran parte alla disinformazione che regna su tale argomento. Nella coscienza di molti infatti non ne viene percepita la vera gravità, in quanto tramite un'informazione puntualmente ingannevole si è tentato di nascondere ciò che l'aborto è veramente, favorendo la diffusione di un concetto totalmente falso, secondo il quale fino al momento della nascita il bambino non è ancora un bambino, ma bensì un qualcosa di non completo, non formato... ed evidentemente non degno di continuare necessariamente a vivere! Lo ripeto, questa è una grossa bugia!
Passiamo dunque ad esaminare nel prossimo capitolo quelle che possono essere le eventuali responsabilità in gioco.
10 settimane. Lo sviluppo del piccolo essere umano è frenetico.
3. Le responsabilità
Stabilire delle precise responsabilità in questo campo è una cosa piuttosto complessa. È chiaro che in questa sede parliamo di responsabilità morali, quelle che portiamo davanti a Dio. Come abbiamo già detto nel capitolo precedente l'informazione proposta sull'aborto risulta essere sistematicamente ambigua e ingannevole, soprattutto da parte di coloro che più di altri avrebbero il compito di mettere al corrente le donne su come stanno veramente le cose, cioè i medici e i consulenti delle strutture ospedaliere. Comunque un certo grado di responsabilità ricade su tutti i coinvolti, seppure in modo dipendente dalla misura nella quale essi sono coscienti di ciò che fanno.
Spesso la donna risulta essere la seconda vittima dell'aborto, per questo occorre promuovere un'informazione veritiera e puntuale soprattutto nei suoi confronti. Sono convinto che molte donne se sapessero cosa avviene realmente durante un aborto vi rinuncerebbero in partenza. Il nostro report fotografico è abbastanza esplicito in questo senso; già da solo dice più di mille parole.
A decidere della morte del bambino non ancora nato, accanto alla madre, ci sono spesso altre persone. Anzitutto, può essere colpevole il padre del bambino, non solo quando espressamente spinge la donna all'aborto, ma anche quando indirettamente favorisce tale sua decisione perché la lascia sola di fronte ai problemi della gravidanza. [...] Né vanno taciute le sollecitazioni che a volte provengono dal più ampio contesto familiare e dagli amici. Non di rado la donna è sottoposta a pressioni talmente forti da sentirsi psicologicamente costretta a cedere all'aborto: non v'è dubbio che in questo caso la responsabilità morale grava particolarmente su quelli che direttamente o indirettamente l'hanno forzata ad abortire. Responsabili sono pure i medici e il personale sanitario, quando mettono a servizio della morte la competenza acquisita per promuovere la vita. Ma la responsabilità coinvolge anche i legislatori, che hanno promosso e approvato leggi abortive e, nella misura in cui la cosa dipende da loro, gli amministratori delle strutture sanitarie utilizzate per praticare gli aborti. Una responsabilità generale non meno grave riguarda sia quanti hanno favorito il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, sia coloro che avrebbero dovuto assicurare -e non l'hanno fatto- valide politiche familiari e sociali a sostegno delle famiglie, specialmente di quelle numerose o con particolari difficoltà economiche ed educative. Non si può infine sottovalutare la rete di complicità che si allarga fino a comprendere istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni che si battono sistematicamente per la legalizzazione dell'aborto nel mondo. [...] Come ho scritto nella mia "Lettera alle Famiglie", «ci troviamo di fronte ad un'enorme minaccia contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell'intera civiltà». Ci troviamo di fronte a quella che può definirsi una «struttura di peccato» contro la vita umana non ancora nata.
(Evangelium Vitae, 59)
La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica «latae sententiae», per il fatto stesso d'aver commesso il delitto e alle condizioni previste dal diritto. La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2272)
La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica «latae sententiae», per il fatto stesso d'aver commesso il delitto e alle condizioni previste dal diritto. La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2272)
Insomma siamo un po' tutti responsabili. Occorre davvero un profondo esame di coscienza e l'impegno a battersi, d'ora in poi, solo ed esclusivamente a favore della vita. Per fortuna davanti a Dio abbiamo sempre "un'altra possibilità"... È quindi arrivato il momento di rialzarsi, riconciliarsi e guardare avanti. Se ognuno di noi non inizia a fare qualcosa nel suo piccolo il mondo non cambierà mai.
Se sei una donna e dopo aver letto queste pagine ti senti tremendamente in colpa per qualcosa che hai fatto o che pensavi di fare... non disperare, Dio è amore e ti stava aspettando! Nel prossimo capitolo esaminiamo dunque la nostra presa di coscienza.
Kelly é venuta alla luce a 12 settimane e, ora che é cresciuta, sta perfettamente.
4. La presa di coscienza
Può essere che qualcuno, arrivato a questo punto, si stia accorgendo di aver commesso (più o meno volontariamente) un vero e proprio delitto. Forse quel peso che grava sulla sua coscienza e che la imprigiona impedendole di gioire nel profondo è dovuto proprio a questa consapevolezza... Già perché, in fondo, la coscienza parla a tutti, credenti e non. Solo che chi non riesce o non vuole "sentirla" non si spiega nemmeno il perché di quel perenne "groppo alla gola"...
La donna infatti rimane anch'essa vittima dell'aborto, anche se spesso non ne ha piena coscienza. Con l'aborto, oltre al figlio che porta in grembo, la donna perde anche una buona parte della sua integrità morale e spirituale, della sua autostima e della sua stessa libertà. Diventa quindi indispensabile un'adeguata assistenza per il recupero di queste persone sia a livello psicologico/morale che spirituale.
Il Card. John O'Connor, Arcivescovo di New York, porta avanti un progetto che speriamo venga presto imitato anche in Italia; si tratta del "Project Rachel".
Il Project Rachel è un ministero dell'Ufficio Arcidiocesano per la Famiglia ed il Rispetto della Vita. Sacerdoti, psichiatri e psicologi formati all'uopo forniscono consigli di tipo individuale, spirituale e psicologico, così come una riconciliazione sacramentale per le donne che hanno sofferto il dramma dell'aborto. Da quando il Project Rachel opera in molte diocesi degli Stati Uniti, migliaia e migliaia di donne, e spesso anche coloro che sono responsabili delle loro gravidanze e dei loro aborti, hanno trovato la pace; molte volte quel tipo di pace spirituale che non hanno mai conosciuto prima. Inoltre, quasi certamente è escluso che esse vi ricadranno in futuro.
Ma vediamo cosa ci racconta proprio una delle mamme che hanno partecipato al progetto in questa lettera indirizzata al sacerdote che dirige il movimento arcidiocesano Project Rachel:
"Ho desiderato scriverle sin dall'incontro che ho avuto con lei nel dicembre scorso. Un amico mi ha parlato del Project Rachel [...]; questo amico è molto impegnato nel movimento anti-abortista, dove presta servizio.
Con questa mia lettera desidero dirle "grazie". Non so perché sia così difficile esprimere il profondo effetto che l'incontro ha avuto su di me. Le parole non mi sembrano adatte ad esprimere la mia gratitudine. Ho combattuto a lungo con le conseguenze del mio aborto. I tentativi fino ad allora compiuti per mettermi l'animo in pace non avevano avuto successo. Ciò che questa volta era diverso era l'assoluta e completa presa di coscienza del bambino ucciso. Egli non era più solamente "un pezzetto di tessuto" o "una sacca di sangue" che aveva cessato di esistere. Molto del dolore che ho provato negli anni è stato per questo essere umano non nato, rifiutato e rinnegato. Così quando lei ha detto "Puoi dare un nome al tuo bambino", qualcosa in me è cambiato. Non dimenticherò mai quelle parole, perché egli dopo è diventato un bambino, recuperato dal secchio della spazzatura nel quale era stato tanto brutalmente gettato. Grazie per averlo riconosciuto, per avermi aiutato a ritrovarlo, per avergli restituito la dignità che io gli avevo negata. Ora posso essere un po' più tranquilla con me stessa, sapendo che egli è stato innalzato dagli abissi fino ad essere posto amorosamente nelle mani di Dio. Gli ho messo nome Matteo Giuseppe. Spero che lei pregherà per lui.
Ho ancora un ringraziamento da farle. Grazie per aver rappresentato Gesù Cristo così bene presso di me."
"Ho desiderato scriverle sin dall'incontro che ho avuto con lei nel dicembre scorso. Un amico mi ha parlato del Project Rachel [...]; questo amico è molto impegnato nel movimento anti-abortista, dove presta servizio.
Con questa mia lettera desidero dirle "grazie". Non so perché sia così difficile esprimere il profondo effetto che l'incontro ha avuto su di me. Le parole non mi sembrano adatte ad esprimere la mia gratitudine. Ho combattuto a lungo con le conseguenze del mio aborto. I tentativi fino ad allora compiuti per mettermi l'animo in pace non avevano avuto successo. Ciò che questa volta era diverso era l'assoluta e completa presa di coscienza del bambino ucciso. Egli non era più solamente "un pezzetto di tessuto" o "una sacca di sangue" che aveva cessato di esistere. Molto del dolore che ho provato negli anni è stato per questo essere umano non nato, rifiutato e rinnegato. Così quando lei ha detto "Puoi dare un nome al tuo bambino", qualcosa in me è cambiato. Non dimenticherò mai quelle parole, perché egli dopo è diventato un bambino, recuperato dal secchio della spazzatura nel quale era stato tanto brutalmente gettato. Grazie per averlo riconosciuto, per avermi aiutato a ritrovarlo, per avergli restituito la dignità che io gli avevo negata. Ora posso essere un po' più tranquilla con me stessa, sapendo che egli è stato innalzato dagli abissi fino ad essere posto amorosamente nelle mani di Dio. Gli ho messo nome Matteo Giuseppe. Spero che lei pregherà per lui.
Ho ancora un ringraziamento da farle. Grazie per aver rappresentato Gesù Cristo così bene presso di me."
In Italia, secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità, dal 1978 al 1999, gli aborti legalizzati sono stati 3.818.383 ai quali si aggiungono gli oltre 840.000 aborti clandestini stimati nello stesso periodo. La potenza distruttiva di ogni singolo aborto non permette il calcolo in termini di vite dello stragrande numero di madri, padri, fratelli, abortisti e loro assistenti coinvolti. Soltanto il bambino muore.
La madre e gli altri spesso vivono o cercano di vivere dibattendosi tra sensi di colpa, tormenti, modelli normali di comportamento trasformati nel loro contrario. Alcuni, credendosi esclusi per sempre dalla redenzione, entrano in un circolo vizioso fatto di promiscuità, gravidanze, aborti, e abbandonano la fede; se sono cattolici, non vanno a Messa e non ricevono i Sacramenti, credendosi indegni del perdono che è stato dato loro nel confessionale.
Se la madre ha mai avuto una scintilla di fede, di convinzione religiosa, di educazione morale, si sente schiacciata dal senso di colpa, una colpa che può essere spinta nelle profondità dell'inconscio da una forza qualsiasi, ma che diventa così un cancro dell'anima.
La madre che ha dato la morte al proprio figliolo, per un motivo qualsiasi o perché disorientata e sottoposta a pressioni, ha un forte bisogno di essere convinta, più di ogni altro al mondo, che è stata perdonata, non da un consulente o da sé stessa, ma da Dio. Queste madri devono credere che Dio le ama, malgrado, o in un senso profondamente misterioso, anche a causa della loro debolezza. Esse devono vedersi assieme a Maria ai piedi della Croce, unendo la crocifissione del proprio figlio con quella del Figlio di Maria. Esse devono sapere che avendo condiviso questa crocifissione, condividono il Suo perdono, ed è di ognuna di loro che Egli parla quando grida al Padre: «Padre, perdonali perché non sanno ciò che fanno». Esse devono sapere che è ad ognuna di loro che Egli ha promesso dalla Croce: «Oggi stesso tu sarai con me in Paradiso».
«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
(Gv 8, 7b.9-11)
Dunque è il momento della "presa di coscienza". È ora di distinguere il bene dal male e di scegliere il bene. È ora di diventare consapevoli dell'altissima missione affidataci da Dio e dell'amore che Egli riversa su ognuno di noi.
Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come pure l'infanticidio sono abominevoli delitti.
(Concilio Vaticano II, GS 51: AAS 58 (1966) 1072)
Ricominciamo quindi a prenderci cura della vita, iniziando da noi stessi. Una volta riconciliati con Dio, sorgente d'amore per la vita, avremo l'energia per "contagiare" anche coloro che ci stanno accanto, i quali noteranno subito la luce nuova che ci riveste.
La vita è bella!
http://www.fuocovivo.org/MOVIMENTO/abortotuttalaverit.htm
Nessuno potrebbe sostenere il cosiddetto «diritto di abortire» se non si desse per scontato un falso punto di partenza; e cioè che il frutto del concepimento, prima di nascere, è di fatto una realtà di serie B per quanto riguarda la sua condizione umana. Dunque uno dei principali nodi da sciogliere è proprio questo: il frutto del concepimento, l'embrione, è un essere umano a tutti gli effetti o no? Sinceramente la domanda fa un po' sorridere... ed è veramente incredibile che vi siano discussioni su questo punto anche tra gli stessi «scienziati». Vediamo di seguire insieme un ragionamento tutto sommato molto semplice e logico che ci toglierà questo dubbio.
Che l'embrione sia un individuo umano risulta scientificamente dalla ricerca sul DNA in base alla quale sappiamo che dall'integrazione dei due insiemi di informazioni genetiche al momento della fecondazione emergono un nuovo progetto e un nuovo programma inscritti nel genoma dello zigote. Ne risulta un «progetto/uomo» inciso indelebilmente, per cui l'uovo fertilizzato di un essere umano è in se stesso una vita umana, in quanto la trascrizione di geni strutturali entra in gioco proprio all'inizio dello sviluppo.
60. Alcuni tentano infatti di giustificare l'aborto sostenendo che il frutto del concepimento, almeno fin a un certo numero di giorni, non può essere ancora considerato una vita umana personale. In realtà, dal momento in cui l'ovulo è fecondato si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre... la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona con le sue note caratteristiche già ben determinate. [...] L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita.
(Evangelium Vitae, 60)
Detto in altre parole, in seguito alla fecondazione viene generato un nuovo DNA (il progetto/uomo) dall'integrazione dei patrimoni genetici del papà e della mamma. Sappiamo che il DNA è il codice genetico unico e irripetibile che contiene la descrizione esatta di ognuno di noi, e anche in questo caso (in seguito alla fecondazione) contiene già tutto il programma di sviluppo del nuovo essere umano. Ogni cosa è già definita fin da questo momento: tratti somatici, occhi, capelli, sesso, statura etc... Da questo momento inizia il processo di sviluppo del nuovo essere umano che non si arresterà più fino alla sua morte.
Un bambino a cinque anni è diverso rispetto a quando ne aveva uno, giusto? Allo stesso modo il feto è diverso dall'embrione, ma stiamo parlando sempre della stessa persona in momenti diversi del suo sviluppo. Le definizioni dei vari momenti dello sviluppo non possono mettere in discussione la natura stessa di ciò che si sta sviluppando, e cioè un essere umano. Le definizioni sono tante, ma hanno solo la funzione di contrassegnare momenti differenti di un unico sviluppo che inizia appunto dal concepimento stesso. Embrione, pre-embrione, blastocista, stria primitiva, feto, bambino, adolescente, adulto, anziano... è chiaro? Fasi diverse di un unico processo evolutivo. Se ci pensate bene è anche logico... Qualcuno dovrebbe spiegarci in base a quali parametri inconfutabili e oggettivi si sente autorizzato a decidere che ad un certo punto si può parlare di individuo umano e prima no!
Alcuni «scienziati» sostengono infatti che si può parlare di individuo umano soltanto dopo 15-16 giorni dall'ovulazione, cioè allo stadio di "stria primitiva". Vi rendete conto anche voi che questa affermazione è del tutto arbitraria e per niente oggettiva, non essendo peraltro dimostrabile scientificamente. L'unica cosa dimostrata dalla scienza è quella che abbiamo affermato fino ad ora, e cioè che il frutto del concepimento è biologicamente nuovo, umano e individualizzato. Non ha senso dire che dal 15° giorno è un individuo umano e al 14° invece no! Questi signori dovrebbero spiegarci cosa avviene di tanto speciale nella notte tra il 14° e il 15° giorno!
Bene, a questo punto facciamo un passo avanti e iniziamo a domandarci cos'è l'aborto procurato.
Gravidanza extrauterina operata 6 settimane dopo il primo giorno dell'ultima mestruazione. Questo piccolissimo essere umano era ancora vivo.
2. Cos'è l'aborto?
Abbiamo visto nel capitolo precedente che fin dal concepimento è generato un nuovo essere umano a tutti gli effetti che inizia il suo processo di sviluppo e crescita. Questo punto di partenza è particolarmente importante per comprendere come anche alcuni farmaci che vengono ingannevolmente definiti "contraccettivi" sono invece abortivi a pieno titolo. In questo caso si parla di "aborto chimico". Penso ad esempio alla RU-486, cioè la "pillola del giorno dopo"... È bene sapere che essa interviene ad ovulo già fecondato, cioè già in presenza di un embrione umano, impedendo che l'embrione stesso si annidi nella parete uterina e prosegua il suo sviluppo. In effetti la "pillola del giorno dopo" non si può neanche definire un farmaco, in quanto la gravidanza non è una malattia! Essa è a tutti gli effetti il primo pesticida anti-umano della storia, la prima pillola ad avere come unico scopo la soppressione della vita. Per approfondire questo argomento vi rimando al testo della Pontificia Academia Pro Vita "Comunicato sulla cosiddetta pillola del giorno dopo".
Ma torniamo al nostro quesito: cos'è l'aborto? Partendo dal presupposto del capitolo precedente ne deriva che "l'aborto procurato" o "interruzione volontaria della gravidanza" rappresenta sempre e comunque la soppressione di una vita umana già in evoluzione. In altre parole si tratta di omicidio.
Fra tutti i delitti che l'uomo può compiere contro la vita, l'aborto procurato presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente grave e deprecabile. Il Concilio Vaticano II lo definisce, insieme all'infanticidio, «delitto abominevole».
(Evangelium Vitae, 58)
Sono parole estremamente dure che a qualcuno potrebbero sembrare addirittura esagerate... ma non è così. Il report fotografico che abbiamo preparato vi convincerà senz'altro di queste affermazioni mettendovi difronte a una realtà tanto tragica quanto ignorata.
Certamente esistono situazioni umanamente terribili che possono indurre il malcapitato a considerare l'aborto come una valida e lecita scappatoia. Pensiamo ad esempio a una ragazza che dovesse scoprirsi incinta dopo aver subito una violenza carnale... oppure a una famiglia disagiata che si dovesse trovare a far fronte a una gravidanza inaspettata... o ancora ad una donna che dovesse scoprire di portare in grembo un feto gravemente malformato.
Sono indubbiamente casi di pesante disagio, è innegabile, ma neanche in queste situazioni estreme possiamo permetterci di essere tanto presuntuosi al punto da ritenerci autorizzati a decidere della sorte di una vita innocente.
Piuttosto che ricorrere all'aborto uccidendo un bambino innocente, se proprio la situazione è disperata, ci si può avvalere del diritto di partorire nell'anonimato per poi dare il bimbo in adozione. Se non c'è proprio altra scelta... almeno si scelga il male minore.
L'accettazione dell'aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita. Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno. [...] Proprio nel caso dell'aborto si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di «interruzione della gravidanza», che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuarne la gravità nell'opinione pubblica. [...] Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita.
(Evangelium Vitae, 58)
Va sottolineato che se oggi il ricorso all'aborto procurato è così diffuso lo si deve in gran parte alla disinformazione che regna su tale argomento. Nella coscienza di molti infatti non ne viene percepita la vera gravità, in quanto tramite un'informazione puntualmente ingannevole si è tentato di nascondere ciò che l'aborto è veramente, favorendo la diffusione di un concetto totalmente falso, secondo il quale fino al momento della nascita il bambino non è ancora un bambino, ma bensì un qualcosa di non completo, non formato... ed evidentemente non degno di continuare necessariamente a vivere! Lo ripeto, questa è una grossa bugia!
Passiamo dunque ad esaminare nel prossimo capitolo quelle che possono essere le eventuali responsabilità in gioco.
10 settimane. Lo sviluppo del piccolo essere umano è frenetico.
3. Le responsabilità
Stabilire delle precise responsabilità in questo campo è una cosa piuttosto complessa. È chiaro che in questa sede parliamo di responsabilità morali, quelle che portiamo davanti a Dio. Come abbiamo già detto nel capitolo precedente l'informazione proposta sull'aborto risulta essere sistematicamente ambigua e ingannevole, soprattutto da parte di coloro che più di altri avrebbero il compito di mettere al corrente le donne su come stanno veramente le cose, cioè i medici e i consulenti delle strutture ospedaliere. Comunque un certo grado di responsabilità ricade su tutti i coinvolti, seppure in modo dipendente dalla misura nella quale essi sono coscienti di ciò che fanno.
Spesso la donna risulta essere la seconda vittima dell'aborto, per questo occorre promuovere un'informazione veritiera e puntuale soprattutto nei suoi confronti. Sono convinto che molte donne se sapessero cosa avviene realmente durante un aborto vi rinuncerebbero in partenza. Il nostro report fotografico è abbastanza esplicito in questo senso; già da solo dice più di mille parole.
A decidere della morte del bambino non ancora nato, accanto alla madre, ci sono spesso altre persone. Anzitutto, può essere colpevole il padre del bambino, non solo quando espressamente spinge la donna all'aborto, ma anche quando indirettamente favorisce tale sua decisione perché la lascia sola di fronte ai problemi della gravidanza. [...] Né vanno taciute le sollecitazioni che a volte provengono dal più ampio contesto familiare e dagli amici. Non di rado la donna è sottoposta a pressioni talmente forti da sentirsi psicologicamente costretta a cedere all'aborto: non v'è dubbio che in questo caso la responsabilità morale grava particolarmente su quelli che direttamente o indirettamente l'hanno forzata ad abortire. Responsabili sono pure i medici e il personale sanitario, quando mettono a servizio della morte la competenza acquisita per promuovere la vita. Ma la responsabilità coinvolge anche i legislatori, che hanno promosso e approvato leggi abortive e, nella misura in cui la cosa dipende da loro, gli amministratori delle strutture sanitarie utilizzate per praticare gli aborti. Una responsabilità generale non meno grave riguarda sia quanti hanno favorito il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, sia coloro che avrebbero dovuto assicurare -e non l'hanno fatto- valide politiche familiari e sociali a sostegno delle famiglie, specialmente di quelle numerose o con particolari difficoltà economiche ed educative. Non si può infine sottovalutare la rete di complicità che si allarga fino a comprendere istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni che si battono sistematicamente per la legalizzazione dell'aborto nel mondo. [...] Come ho scritto nella mia "Lettera alle Famiglie", «ci troviamo di fronte ad un'enorme minaccia contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell'intera civiltà». Ci troviamo di fronte a quella che può definirsi una «struttura di peccato» contro la vita umana non ancora nata.
(Evangelium Vitae, 59)
La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica «latae sententiae», per il fatto stesso d'aver commesso il delitto e alle condizioni previste dal diritto. La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2272)
La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica «latae sententiae», per il fatto stesso d'aver commesso il delitto e alle condizioni previste dal diritto. La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2272)
Insomma siamo un po' tutti responsabili. Occorre davvero un profondo esame di coscienza e l'impegno a battersi, d'ora in poi, solo ed esclusivamente a favore della vita. Per fortuna davanti a Dio abbiamo sempre "un'altra possibilità"... È quindi arrivato il momento di rialzarsi, riconciliarsi e guardare avanti. Se ognuno di noi non inizia a fare qualcosa nel suo piccolo il mondo non cambierà mai.
Se sei una donna e dopo aver letto queste pagine ti senti tremendamente in colpa per qualcosa che hai fatto o che pensavi di fare... non disperare, Dio è amore e ti stava aspettando! Nel prossimo capitolo esaminiamo dunque la nostra presa di coscienza.
Kelly é venuta alla luce a 12 settimane e, ora che é cresciuta, sta perfettamente.
4. La presa di coscienza
Può essere che qualcuno, arrivato a questo punto, si stia accorgendo di aver commesso (più o meno volontariamente) un vero e proprio delitto. Forse quel peso che grava sulla sua coscienza e che la imprigiona impedendole di gioire nel profondo è dovuto proprio a questa consapevolezza... Già perché, in fondo, la coscienza parla a tutti, credenti e non. Solo che chi non riesce o non vuole "sentirla" non si spiega nemmeno il perché di quel perenne "groppo alla gola"...
La donna infatti rimane anch'essa vittima dell'aborto, anche se spesso non ne ha piena coscienza. Con l'aborto, oltre al figlio che porta in grembo, la donna perde anche una buona parte della sua integrità morale e spirituale, della sua autostima e della sua stessa libertà. Diventa quindi indispensabile un'adeguata assistenza per il recupero di queste persone sia a livello psicologico/morale che spirituale.
Il Card. John O'Connor, Arcivescovo di New York, porta avanti un progetto che speriamo venga presto imitato anche in Italia; si tratta del "Project Rachel".
Il Project Rachel è un ministero dell'Ufficio Arcidiocesano per la Famiglia ed il Rispetto della Vita. Sacerdoti, psichiatri e psicologi formati all'uopo forniscono consigli di tipo individuale, spirituale e psicologico, così come una riconciliazione sacramentale per le donne che hanno sofferto il dramma dell'aborto. Da quando il Project Rachel opera in molte diocesi degli Stati Uniti, migliaia e migliaia di donne, e spesso anche coloro che sono responsabili delle loro gravidanze e dei loro aborti, hanno trovato la pace; molte volte quel tipo di pace spirituale che non hanno mai conosciuto prima. Inoltre, quasi certamente è escluso che esse vi ricadranno in futuro.
Ma vediamo cosa ci racconta proprio una delle mamme che hanno partecipato al progetto in questa lettera indirizzata al sacerdote che dirige il movimento arcidiocesano Project Rachel:
"Ho desiderato scriverle sin dall'incontro che ho avuto con lei nel dicembre scorso. Un amico mi ha parlato del Project Rachel [...]; questo amico è molto impegnato nel movimento anti-abortista, dove presta servizio.
Con questa mia lettera desidero dirle "grazie". Non so perché sia così difficile esprimere il profondo effetto che l'incontro ha avuto su di me. Le parole non mi sembrano adatte ad esprimere la mia gratitudine. Ho combattuto a lungo con le conseguenze del mio aborto. I tentativi fino ad allora compiuti per mettermi l'animo in pace non avevano avuto successo. Ciò che questa volta era diverso era l'assoluta e completa presa di coscienza del bambino ucciso. Egli non era più solamente "un pezzetto di tessuto" o "una sacca di sangue" che aveva cessato di esistere. Molto del dolore che ho provato negli anni è stato per questo essere umano non nato, rifiutato e rinnegato. Così quando lei ha detto "Puoi dare un nome al tuo bambino", qualcosa in me è cambiato. Non dimenticherò mai quelle parole, perché egli dopo è diventato un bambino, recuperato dal secchio della spazzatura nel quale era stato tanto brutalmente gettato. Grazie per averlo riconosciuto, per avermi aiutato a ritrovarlo, per avergli restituito la dignità che io gli avevo negata. Ora posso essere un po' più tranquilla con me stessa, sapendo che egli è stato innalzato dagli abissi fino ad essere posto amorosamente nelle mani di Dio. Gli ho messo nome Matteo Giuseppe. Spero che lei pregherà per lui.
Ho ancora un ringraziamento da farle. Grazie per aver rappresentato Gesù Cristo così bene presso di me."
"Ho desiderato scriverle sin dall'incontro che ho avuto con lei nel dicembre scorso. Un amico mi ha parlato del Project Rachel [...]; questo amico è molto impegnato nel movimento anti-abortista, dove presta servizio.
Con questa mia lettera desidero dirle "grazie". Non so perché sia così difficile esprimere il profondo effetto che l'incontro ha avuto su di me. Le parole non mi sembrano adatte ad esprimere la mia gratitudine. Ho combattuto a lungo con le conseguenze del mio aborto. I tentativi fino ad allora compiuti per mettermi l'animo in pace non avevano avuto successo. Ciò che questa volta era diverso era l'assoluta e completa presa di coscienza del bambino ucciso. Egli non era più solamente "un pezzetto di tessuto" o "una sacca di sangue" che aveva cessato di esistere. Molto del dolore che ho provato negli anni è stato per questo essere umano non nato, rifiutato e rinnegato. Così quando lei ha detto "Puoi dare un nome al tuo bambino", qualcosa in me è cambiato. Non dimenticherò mai quelle parole, perché egli dopo è diventato un bambino, recuperato dal secchio della spazzatura nel quale era stato tanto brutalmente gettato. Grazie per averlo riconosciuto, per avermi aiutato a ritrovarlo, per avergli restituito la dignità che io gli avevo negata. Ora posso essere un po' più tranquilla con me stessa, sapendo che egli è stato innalzato dagli abissi fino ad essere posto amorosamente nelle mani di Dio. Gli ho messo nome Matteo Giuseppe. Spero che lei pregherà per lui.
Ho ancora un ringraziamento da farle. Grazie per aver rappresentato Gesù Cristo così bene presso di me."
In Italia, secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità, dal 1978 al 1999, gli aborti legalizzati sono stati 3.818.383 ai quali si aggiungono gli oltre 840.000 aborti clandestini stimati nello stesso periodo. La potenza distruttiva di ogni singolo aborto non permette il calcolo in termini di vite dello stragrande numero di madri, padri, fratelli, abortisti e loro assistenti coinvolti. Soltanto il bambino muore.
La madre e gli altri spesso vivono o cercano di vivere dibattendosi tra sensi di colpa, tormenti, modelli normali di comportamento trasformati nel loro contrario. Alcuni, credendosi esclusi per sempre dalla redenzione, entrano in un circolo vizioso fatto di promiscuità, gravidanze, aborti, e abbandonano la fede; se sono cattolici, non vanno a Messa e non ricevono i Sacramenti, credendosi indegni del perdono che è stato dato loro nel confessionale.
Se la madre ha mai avuto una scintilla di fede, di convinzione religiosa, di educazione morale, si sente schiacciata dal senso di colpa, una colpa che può essere spinta nelle profondità dell'inconscio da una forza qualsiasi, ma che diventa così un cancro dell'anima.
La madre che ha dato la morte al proprio figliolo, per un motivo qualsiasi o perché disorientata e sottoposta a pressioni, ha un forte bisogno di essere convinta, più di ogni altro al mondo, che è stata perdonata, non da un consulente o da sé stessa, ma da Dio. Queste madri devono credere che Dio le ama, malgrado, o in un senso profondamente misterioso, anche a causa della loro debolezza. Esse devono vedersi assieme a Maria ai piedi della Croce, unendo la crocifissione del proprio figlio con quella del Figlio di Maria. Esse devono sapere che avendo condiviso questa crocifissione, condividono il Suo perdono, ed è di ognuna di loro che Egli parla quando grida al Padre: «Padre, perdonali perché non sanno ciò che fanno». Esse devono sapere che è ad ognuna di loro che Egli ha promesso dalla Croce: «Oggi stesso tu sarai con me in Paradiso».
«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
(Gv 8, 7b.9-11)
Dunque è il momento della "presa di coscienza". È ora di distinguere il bene dal male e di scegliere il bene. È ora di diventare consapevoli dell'altissima missione affidataci da Dio e dell'amore che Egli riversa su ognuno di noi.
Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come pure l'infanticidio sono abominevoli delitti.
(Concilio Vaticano II, GS 51: AAS 58 (1966) 1072)
Ricominciamo quindi a prenderci cura della vita, iniziando da noi stessi. Una volta riconciliati con Dio, sorgente d'amore per la vita, avremo l'energia per "contagiare" anche coloro che ci stanno accanto, i quali noteranno subito la luce nuova che ci riveste.
La vita è bella!
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