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domenica 2 marzo 2008

NICARAGUA .DIVIETO ASSOLUTO DI QUALSIASI FORMA DI ABORTO

Nicaragua - 16.9.2007
Accordo torbido
Il presidente Ortega accusato di opportunismo politico per la svolta antiabortista del Nicaragua
Scritto per noi da Aura Tiralongo
“Hipocritas!”. E’ questo il saluto delle donne di Managua all’ultimo provvedimento dell’Asemblea Nacional, che nei giorni scorsi ha definitivamente confermato il divieto assoluto di qualsiasi forma di aborto in Nicaragua.
L’ultima votazione. I deputati hanno infatti abolito il comma 3 dell’articolo 143 del nuovo codice penale, che prevedeva, in casi eccezionali, la possibilità di praticare l'aborto da parte dei medici nel caso in cui almeno tre di loro avessero dichiarato in grave pericolo la vita della madre. Il Nicaragua si affianca così ai quattro paesi dell’America Latina (Cile, Honduras, El Salvador e Repubblica Dominicana) in cui vige il divieto di aborto terapeutico. E questo anche nei casi di gravi malformazioni del feto o di gravidanza a seguito di stupro. L’abrogazione conclude il percorso intrapreso, nello scorso novembre, in periodo pre-elettorale, quando l'Asemblea Nacional aveva abolito, dal vecchio codice penale, la possibilità dell’interruzione volontaria della gravidanza a scopo terapeutico, in vigore da 130 anni. I deputati si sono per questo scontrati, nell’ultimo anno, con una vera e propria mobilitazione internazionale, che ha visto in prima linea tutte le più importanti organizzazioni umanitarie nel mondo. Alla sbarra, fra decine di capi di imputazione, la comprovata incostituzionalità della legge, dichiarata in controtendenza con gli accordi internazionali in fatto di diritti dell’individuo. Accordi che il Nicaragua ha volontariamente accettato e sottoscritto nel corso degli anni, inserendone i principi all’interno della propria Costituzione, anche per segnalare alle autorità internazionali l’emergenza delle cosiddette “madri bambine” e le altissime percentuali di abusi sui minori. Solo venti giorni fa era stata infatti stilata da Human Rights Watch una lettera aperta indirizzata alla Corte Suprema del Paese, che riportava nel dettaglio sia i principi negati (“fra cui uno che li comprende tutti, il “diritto alla vita” ), sia le conseguenze della legge anti-aborto documentate da novembre ad oggi in Nicaragua.
Il precedente. Nel corso dell’ultimo anno le polemiche più accese si sono concentrate soprattutto sulla condotta del leader sandinista Daniel Ortega, accusato dalla società civile e da alcuni partiti dell'opposizione di aver barattato il diritto alla vita delle donne del suo paese con la certezza del seggio presidenziale. L’elezione di Ortega è infatti avvenuta all’indomani della sua inaspettata “svolta antabortista”, che gli avrebbe fatto meritare il plauso e l’appoggio politico delle correnti cattoliche ed evangeliche del paese. Le votazioni finali sulla legge sarebbero avvenute, secondo molti, in un clima di silenzio surreale all’interno delle aule dell’Asemblea, dove solo i membri anti-abortisti sarebbero stati chiamati ad esprimersi. Una folla di dimostranti denunciava in piazza l'irregolarità della legge e la violazione del principio di laicità dello stato, accusando i politici di pianificare un “omicidio di massa” in nome di una “distorta concezione del diritto alla vita”. A un anno dall'entrata in vigore della nuova legge, con l’attuale abrogazione dell’ultimo comma, il copione si ripete. Con la differenza che oggi i movimenti, le associazioni di medici, le ong nazionali e internazionali non parlano più solo di possibilità, ma anzi delle reali conseguenze del divieto, che prevede fino a 30 anni di reclusione per i rei.
Le conseguenze. Il timore delle sanzioni e i controlli capillari delle forze di polizia sui reparti di ostetricia e pronto soccorso degli ospedali, avrebbe creato fra i medici la consuetudine di astenersi dall’intervenire nei casi di emergenze connesse alla gravidanza, per paura di venire accusati di aver praticato aborti terapeutici. Sono già migliaia i familiari che denunciano la morte di donne negli stessi reparti di medicina d’urgenza. “Mia figlia è morta dopo due giorni di ricovero, in cui non le sono state prestate cure di nessun genere”, racconta la madre di Angela Morales, 22 anni. “I medici hanno diagnosticato un’emorragia, ma il bambino era ancora vivo. Nessuno ha toccato Angela: i medici erano evasivi sulle sue condizioni, ma si respirava aria di apprensione e imbarazzo. Noi della famiglia l’abbiamo vista morire poco a poco perché non potevamo credere che il servizio sanitario pubblico potesse rendersi complice di un assassinio – aggiunge la madre della vittima - E delle cure private, con le loro tecnologie all’avanguardia, possiamo solo sentirne parlare da chi se le può premettere”. Il provvedimento anti-aborto è quindi oggi, più di ieri, un dato di fatto, così come lo è il ricorso agli aborti clandestini e fai-da-te per le donne che cercano di evadere il divieto, o come continua ad esserlo l’emergenza delle “bambine madri” e l’abuso sessuale sulle donne nicaraguensi, spesso minorenni vittime degli stessi familiari.
Intanto le associazioni per la difesa della donna e dei suoi diritti ricordano la risposta del deputato sandinista Edwin Castro, che appoggiò la legge anti-aborto definendola, all’indomani delle votazioni, “il frutto di valutazioni che riguardano semplicemente un criterio di vita e di civiltà”. Parte della cittadinanza oggi controbatte: “E' solo un pacto sucio (accordo torbido) giocato sulla scacchiera degli interessi politici”.
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=2&ida=&idt=7&idart=8773

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